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23 Marzo 2014 , ,

Lorenzo Monguzzi Mi manca … Enzo Jannacci


                           INTRO                                         EF-Lorenzo-Monguzzi

 

C'è sempre una prima volta e anche Lorenzo Monguzzi, voce e chitarra storica del folk italiano, ha varcato la soglia con “Portavèrta” (2013 - Jolefilm - HKM/Goodfellas), primo disco solista dopo diciott'anni di carriera. Conosciuto come fondatore del power folk trio Mercanti di Liquore, fa un bel balzo nel mondo dello spettacolo grazie alla collaborazione con Marco Paolini. Un salto solista musicalmente valido, premiato con il terzo posto al Tenco. Portàverta mostra tutta la poliedricità musicale del cantautore brianzolo e la sua grande capacità di scrivere testi che fanno pensare senza pesare, andando idealmente a tentare di riempire il vuoto incolmabile creato dalla dipartita di De Andrè. Comicità e poesia, con queste due “armi” Monguzzi sforna un cd che riporta in vita la forte impronta musicale della chanson française anni '70 che ha influenzato la musica d'autore italiana per decenni. Portavèrta è un disco impegnato, politico e di riflessione ampia sulla bellezza tragicomica dell'umanità odierna. Abbiamo incontrato Lorenzo Monguzzi per Distorsioni.

 

L'INTERVISTA

 

Pietro Bizzini (Distorsioni) - Nella tua carriera hai fatto parte di diversi progetti musicali, ma com'è suonare da solista dopo tanti anni con i Mercanti di Liquore? Si soffre di solitudine oppure ti si sono aperte più soluzioni espressive?

Lorenzo Monguzzi - Citando Coelho “la seconda che hai detto”. In realtà tutti sappiamo che viaggiare da soli rende più facile incontrare gente nuova e conoscere i posti che si sta visitando, per la musica vale lo stesso principio. In qualità di solista (per così dire) mi è più facile far entrare nuovi suoni e nuovi stili nei lavori che faccio, una cosa inebriante e destabilizzante ma che porta sicuramente ottimi frutti con sè.

 

La musica può ancora arrivare a mobilitare coscienze come succedeva negli anni '70? Quali tipologie di pubblico incontri nei tuoi spettacoli e chi, tra queste, ti sembra più permeabile ai tuoi testi?

Domanda impegnativa ma anche affascinante, rispondere seriamente comporta una altissima probabilità di dire fesserie: ciò nonostante, e a mio rischio e pericolo, ci provo. Il pubblico che incontro è eterogeneo, variopinto e se qualcuno vuole aggiungere dei sinonimi è il benvenuto. Per questo motivo non saprei proprio dire chi tra loro, o quale tipologia, sia più sensibile alle cose che scrivo. Potrei dire chi ascolta la cosiddetta “musica d’autore”, ma sarebbe riduttivo e inesatto, oltretutto “musica d’autore” non vuol dire un cazzo; tutte le canzoni ne hanno uno, magari si vergogna di ciò che ha fatto ma comunque esiste. Forse oggi il panorama dei possibili fruitori di musica è più che mai frammentario, come lo sono i gusti e persino le abitudini delle persone. Facciamo fatica ad avere un immaginario comune e ci raggruppiamo intorno a proposte che fanno leva sui nostri istinti più bassi. Ad esempio, oggi per il mio paese, o per buona parte di esso, ascoltare musica ed appassionarsi per le sorti di chi la fa significa guardare i talent show…ecco mi piacerebbe che il mio pubblico avesse come unico tratto comune un odio insopprimibile per questa porcheria.

 

PortaveĚrta1Gli inserimenti sinfonici in canzoni comeTempi Difficili o Pezzi di Cielo sono veramente belli, i musicisti che ti hanno accompagnato nella registrazione di"Portavèrta" sono tanti, chi ti ha aiutato di più ad uscire dai momenti critici durante la composizione dell’album?

Un bravissimo arrangiatore che si chiama Stefano Nanni, direi che ha reso tridimensionale il mio disco, aggiungendo prospettive inaspettate da cui sia possibile osservarlo (ascoltarlo)

 

Fogliafarfalla mi sembra la canzone più intimista del disco, chi o cosa rappresenta quella farfalla verde?

Rappresenta esattamente una farfalla verde, niente di più (e caspita…niente di meno). A volte una canzone, o una riflessione, nasce da eventi piccoli e poco significanti in apparenza, come appunto ritrovarsi a notte fonda in compagnia di una farfalla in una stanza di una casa in Brianza e decidere di farci due chiacchiere.

 

In La Tempesta e Boris Vian sembri essere più pessimista sulla condizione umana che in Tempi Difficili. Quant'è complicato riflettere sull'umanità e scrivere canzoni su di essa?

monguzziNon è complicato, l’umanità offre da sempre continui spunti a chi scrive, a chi recita e a chi canta. Io, da parte mia, cerco di tenermi alla larga dai luoghi comuni, dalle facili riflessioni sui massimi sistemi e da giudizi dall’alto. Mi piace molto il concetto di “non tirarsi fuori”, voglio parlare del mio paese, voglio incazzarmi con esso, voglio pungolarlo per vedere se reagisce. Tutto questo è lecito a condizione che io ammetta (se vuoi con una certa riluttanza) di farne parte, altrimenti è troppo facile e intellettualmente scorretto, e di cecchini che sparano sulla folla al riparo dei loro tanti privilegi ce ne sono già abbastanza.

 

Portavèrta che dà il titolo all'album, è l'unico brano dell'album in dialetto milanese. Com'è nato?

E’ nato parecchi anni fa, come reazione a quello che io ritenevo (e ritengo) un uso improprio e irritante del mio dialetto da parte della politica o comunque di un mondo che da quella politica si sentiva rappresentato. Ero arrivato al punto di evitare di parlare in dialetto per timore di essere bollato come razzista, intollerante o cose del genere. La canzone è stata il mio modo di riappropriarmi della mia lingua, il mio modo di dimostrare che parlare in milanese o in brianzolo non significa necessariamente dire delle cattiverie, e che, al contrario, il dialetto è anche leggerezza, allegria, emozione. Lo dovevo ai tanti maestri che l’hanno usato prima di me, uno dei quali, Enzo Jannacci, ci ha appena lasciati e mi manca.

 

Monguzzi_e_PaoliniI dialoghi semiseri nell'album sono di tua invenzione?

I siparietti con Marco Paolini li abbiamo inventati insieme mentre registravamo il disco. Uno in particolare, Bersagliere a rapporto è il rifacimento di un episodio che ho vissuto mentre facevo il servizio militare, Marco fa il tenente, io faccio me stesso. Ci è sembrato un bel modo di raccontarmi, un bel modo di tracciare una mia carta di identità, senza appesantire troppo il disco, e anche un bel modo di far partecipare Marco.

 

Hai rivisitato molte canzoni di De Andrè. Cosa aveva Faber, secondo te, che altri non riescono ad esprimere?

Rispondo ad istinto, aveva la grazia, una capacità meravigliosa di rendere bello e forse eterno tutto ciò che metteva in una canzone.

 

Quali differenze trovi fra concerti, spettacoli teatrali e televisivi? Dove ti trovi più a tuo agio?

Mi piace far tutto, a condizione che sia dal vivo. Televisione ne ho fatta poca, però quasi sempre in diretta e con il pubblico in sala, direi il modo più bello che ci sia di fare televisione. Concerti o spettacoli teatrali per quanto mi riguarda si equivalgono e spesso si mescolano tra loro, e va bene così.

 

Continuerai la tua carriera solista dopo il premio al Luigi Tenco?

Certo che sì.

Pietro Bizzini

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