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8 Settembre 2015 ,

Public Image WHAT THE WORLD NEEDS NOW

2015 - Official Cargo
[Uscita: 04/09/2015]

Inghilterra   #consigliatodadistorsioni     

 

PIL what_the_world_10What the world needs now”, di cosa ha bisogno il mondo ora: ascoltiamo la ricetta dell’immarcescibile (a dispetto dell’antico nome d’arte) John Lydon, che ha riformato da qualche anno i Public Image Limited, con una nuova formazione: il fenomenale batterista Bruce Smith (ex Pop Group, Rip Rig + Panic, Bjork), il chitarrista Lu Edmunds (ex Mekons, 3 Mustaphas 3 e Damned) e Scott Firth (musicista di estrazione jazz che ha suonato in tour con le Spice Girls, ma anche con John Martym, Steve Winwood, Joan Armatrading e molti altri) al basso. A cominciare dai primi brani il messaggio è chiaro: rock, buon rock.

Sin dalle prime note sentiamo esplodere quella miscela di basso profondo, chitarre taglienti come lame e ritmi tribali che i PiL contribuirono ad inventare e all’epoca si chiamò new wave. Già l’iniziale Double trouble, in cui John racconta di un litigio con la moglie a causa dell’idraulico, scatena nell’ascoltatore la voglia di ballare, col suo ritmo irresistibile. Notevole Bettie Page, atmosfera da film noir con un basso incalzante, che Lydon dedica, testuali parole, ad una grande americana. La voce del leader, tra il declamatorio e il salmodiante, è sempre quella, con quel timbro unico e inconfondibile, e i tre collaboratori la assecondano coi loro raffinati intrecci. 

 

rottenC’est la vie, più lenta e ossessiva riporta ai Pil più sperimentali del secondo e terzo album, ma non ha il carico di paranoia che esprimevano quei dischi, i tempi sono cambiati, e l’ex Rotten oggi è un uomo pacificato, che dichiara di amare sempre più l’umanità: cercate le sue interviste, sono uno spasso, tra humour inglese, giudizi spiazzanti e slanci di generosità che non ci si aspetterebbe dal caustico scatenatore del punk. Sorprende The one, che sebbene Johnny dichiari essere un omaggio all’idolo di gioventù Marc Bolan, sembra proprio un outtake dei Clash di “Sandinista”, gruppo che peraltro Lydon afferma regolarmente di detestare. 

pilVertice dell’album è Big blue sky, raffinato dub che mette in mostra il talento dei due ritmi, ma nel ritornello esplode in slanci progressive riccamente melodici. Ma non si tratta di musica passatista: qui si deve parlare di classicità. Meno convincenti ci appaiono le conclusive Corporate, dal ritmo in levare, e Shoom, chiusura acid house, un po’ troppo tirate per le lunghe. In conclusione, un gran bel disco: i PiL in questa nuova formazione sono sempre sulla cresta dell’onda e ci resteranno a lungo, se questo è il materiale che sanno ancora incidere. Grandi vecchi nel senso migliore del termine. John Lydon è anche autore della copertina, ispirata da personaggi della mitologia degli Hopi. 

 

Voto: 7.5/10
Alfredo Sgarlato

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