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28 Aprile 2015 ,

Kendrick Lamar TO PIMP A BUTTERFLY

2015 - Interscope Records
[Uscita: 16/03/2015]

USA  #consigliatodadistorsioni

 

folderL’hip-hop è sicuramente un fenomeno di grandissimo interesse non solo musicale, particolarmente per la comunità afroamericana. La critica, prevalentemente bianca, ha tentato di etichettarlo come il nuovo blues, il nuovo jazz, il nuovo soul, regolarmente respinta con perdite dai protagonisti del genere, che giustamente reclamano la propria autonomia da catalogazioni sicuramente vecchie e probabilmente poco accurate. Da questa parte dell’Atlantico, e particolarmente nel nostro Paese, l’impressione è che manchino le chiavi interpretative per entrare pienamente nel contesto. Anni fa, qui da noi, il fenomeno del “rap militante” ha avuto una certa rilevanza, ricordiamo fra tutti i benemeriti, coerenti fino all’autolesionismo, Assalti Frontali. Le tematiche trattate e l’impegno degli esponenti di quella scena avevano quantomeno il crisma dell’autenticità, oggi assistiamo al successo di giovanotti tatuati che scimmiottano modelli lontani da loro con risultati sui quali stendiamo veli pietosi. Ma si trattava solo di esempi che ci permettono di evidenziare come il cuore del fenomeno hip-hop batta indiscutibilmente negli States. Da laggiù, ovviamente, proviene l’autore del ponderoso lavoro di cui ci occupiamo, in particolare da Compton, California, luogo senz’altro difficile, in cui gang rivali, nere e ispaniche, si combattono il territorio e da cui, non casualmente, provengono gli epigoni del gansta rap, gli N.W.A. di Ice Cube e Dr. Dre.

 

lamar1Rispetto ai suoni hip-hop della fine degli anni ’80, quando N.W.A. fecero uscire il loro seminale “Straight Out Of Compton”, Kendrick Lamar si muove su coordinate radicalmente diverse, mescolando funk, soul e jazz fino ad ottenere qualcosa che esce chiaramente dall’ambito del genere e che più opportunamente si può etichettare come black music, tout court. Lamar non concede nulla a cantilene “radio friendly”, né si fa mancare una vena introspettiva e politica, con particolare riferimento alle tematiche razziali di cui il disco è pieno e a cui chi appartiene alla comunità afroamericana in questo momento non può che essere estremamente sensibile. Più che ai fragorosi esempi dilamar Public Enemy o Run DMC, Lamar si richiama ai seminali Last Poets, o al compianto Gil Scott Heron, senza dimenticare il P-Funk di George Clinton, qui presente nell’opener Wesley’s Theory. L’album supera ampiamente i 70 minuti, senza cadute di tono, anzi con alcuni momenti davvero entusiasmanti, come For Free?, che sfiora addirittura il free jazz, King Kunta, un numero che ci riporta alle origini dell’hip-hop, These Walls, puro soul, The Blacker The Berry, un vero assalto verbale, I, il rap che James Brown avrebbe voluto incidere. Indiscutibilmente una delle migliori uscite di questo inizio 2015.

 

Voto: 8.5/10
Luca Sanna

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