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22 Settembre 2013 ,

The Mission THE BRIGHTEST LIGHT

2013 - Oblivion/Spv
[Uscita: 23/09/2013]

missionIl gothic rock da hit parade, ereditato dagli anni ottanta, non fu battezzato solo da band come The Cult di Ian Astbury, ma fu anche definito grazie a piccole pietre miliari come “Children” (Mercury, 1988) degli allora gloriosi The Mission. La band nata nel 1986 dalle ceneri dei più significativi Sister of Mercy, fu sin dai loro esordi capeggiata dal carismatico Wayne Hussey. Nonostante una carriera travagliata da cambi di formazione - è una discontinuità produttiva che ha penalizzato il loro iter creativo - i Mission  approdano, ben 27 anni dopo il loro primo album, al loro dodicesimo lavoro in studio: “The Brightest Light”. La longevità nel rock’n’roll non è sempre facile da preservare, e per questo è necessario valutare questo disco privandosi della prospettiva storica di una band che, nonostante le quattro milioni di copie vendute nel corso della sua carriera, non aggiunge nulla a quel poco già scritto alla storia del rock. Le undici tracce del disco scorrono piacevolmente garantendo un ascolto limpido e senza pretese. Ma la voce di Hussey non ha più la profondità dei tempi andati e ciò che resta è una anonima voce graffiante, a tratti limpida e fascinosa, priva della cupa grazia che la caratterizzava nei bei tempi andati.

 

Il singolo che lancia il disco, Sometimes The Brightest Light Comes From The Darkest Place (il cui video ricorda tristemente la soggettiva della donnaccia di Smack My Bitch Up dei Prodigy), resta probabilmente una delle migliori tracce, anche in senso commerciale. Certo, il disco riserva anche piacevoli sorprese come la morriconiana Litany For The Faithful che chiude il disco  o la bonjoviana (!) When The Trap Clicks Shut Behind Us. I più nostalgici qualche brivido lo proveranno riconoscendosi nell’incedere di Born Under Amission Good Sign ma potrebbero sentirsi disorientati all’ascolto di Ain't No Prayer In The Bible Can, in cui Hussey fa il verso a Tom Waits o alla dylaniana Just Another Pawn In Your Game che segue. Nel complesso il lavoro purtroppo manca di incisività e rischia di diventare un ulteriore anonimo tassello nella biografia dei rockers inglesi in questione. Il fatto che al timone di questo lavoro ci sia un nume tutelare come David M Allen, già produttore dei ben più rilevanti The Cure e Depeche Mode, ha fatto sì che il disco non avesse sbavature. Ma manca di profondità e fa solo sterilmente il verso alle migliori cose incise dalla band in passato. L’eco del post-punk inglese non si avverte minimamente, si entra in territori piuttosto vicini all’AOR più accomodante. Di pathos e decadenza rock, quindi, nemmeno l’ombra! Sarà anche il loro album più rock ma porta i segni anagrafici dei protagonisti. Il ritorno dei Mission purtroppo non sorprende e soprattutto non coinvolge i sensi. Disco onesto seppur inevitabilmente attempato.

 

Voto: 5/10
Anthony Ettorre

Video

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