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26 Ottobre 2020 ,

Motorpsycho The All Is One

2020 - Stickman Records
[Uscita: 28/08/2020]

Sono trascorsi ormai quasi tre decenni da quel “Lobotomizer” (1991), che intrecciando psichedelia oscura e metal, avrebbe aperto la strada ad una delle carriere rock più importanti di fine secolo. La straordinaria Lighthouse Girl ("Soothe", 1992) ed il monumentale “Demon Box” (1993) facevano intravvedere le direttrici di una psichedelia metal contaminata dal pop, che sarebbe culminata nei capolavori “Timothy's Monster” (1994) e “Blissard“ (1996). L’insofferenza verso le forme chiuse (si pensi alla versione dilatata di The Golden Core del 1994), trasformava la psichedelia delle origini in uno space-rock particolarmente oscuro che avrebbe trovato le forme più compiute in “Angels And Daemons At Play” (1997) ed in “Trust Us” (1998). Il brano Psychonaut (1998) si poneva già da allora come manifesto delle peregrinazioni nomadi e senza ritorno. Negli anni zero del duemila, superata una fase pop contraddistinta da picchi artistici sempre riconoscibili (“Let Them Eat Cake” - 2000 e “Phanerothyme” - 2001), la band di Sæther e Ryan spostava il baricentro delle loro trame musicali verso un hard-rock di matrice seventies, codificata negli album “Black Hole/Blank Canvas“ (2006) ed “Heavy Metal Fruit“ (2010). La dismisura è sempre stata una caratteristica dei Motorpsycho. Ed è facile riconoscerla nel monumentale “The Death Defying Unicorn” (2012), realizzato con Ståle Storløkken, che spostandosi verso una narrazione crimsoniana, accompagnava musicalmente le epopee del mare. “The Death Defying Unicorn” è stato un crocevia per i lavori degli anni successivi, poiché l’elemento progressive costituirà l’ossatura di tutte le successive produzioni (“Behind The Sun” - 2014 e “Here Be Monsters” - 2016). Questo ultimo “The All Is One” recupera prepotentemente le sonorità psych-prog di “The Death Defying Unicorn” e chiude dopo “The Tower” (2017) e “The Crucicle” (2019) la cosiddetta Gullvåg trilogy (dal nome del pittore norvegese che ne ha curato le copertine). “The All is One” è diviso in tre parti. Nella prima, l’album segue una direzione più convenzionale con brani classici come The All Is One, The Same Old Rock, The Magpie. La seconda parte è costituita invece dalla monumentale suite N.O.X., suddivisa in 5 movimenti e realizzata con la collaborazione di musicisti provenienti dalla Jaga Jazzist e dal Trondheim Jazz Orchestra. N.O.X. recupera le forme radicali di un psych-prog denso di esoterismo e di occulto, ispirato a dipinti, tarocchi ed alchimia, secondo canoni narrativi ed immaginifici che avevamo già apprezzato in “The Death Defying Unicorn” (si pensi a Circles Around The Sun, Pt. 1 e Pt. 2). Il viaggio assume forme compulsive in Ouroboros caratterizzato dal sax di Horntveth, celestiali e dilatate in Ascension ed infine ipnotiche in Night Of Pan, contraddistinto dalle strumentazioni di Kvernberg. La terza ed ultima parte procede con movenze più defaticanti con A Little Light e con una Dreams Of Fancy che rievoca le sonorità nostalgiche di “Blissard“. Questo “The All is One” cerca di far coesistere l’anima più tradizionale dei Motorpsycho con quella più radicale e lo fa ancora una volta con l’ispirazione ed il mestiere di una grande band.

Voto: 7.5/10
Felice Marotta

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