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30 Novembre 2019 ,

Leonard Cohen Thanks For The Dance

2019 - Sony Music
[Uscita: 22/11/2019]

Quando si disquisisce di Leonard Cohen, occorre, immaginificamente, togliersi il cappello, tale e tanto grande è la possanza artistica del personaggio. Autore sublime di canzoni, molte delle quali immortali, poeta finissimo descrittore di spettri esistenziali, uomo filosoficamente e spiritualmente illuminato e illuminante. A distanza di tre anni dalla sua morte, e dal suo testamento olografo di matrice musicale, quel bellissimo e intenso “You Want It Darker”, nel quale veniva affiancato alla produzione dal figlio Adam, ecco che, come riaffiorando dal regno dei morti, l’artista canadese ritorna, con un nuovo album di canzoni inedite, facenti parte del vasto nucleo compositivo che poi si sostanzierà nel summentovato disco. Una promessa, fattagli dal figlio Adam, di riarrangiare e dare veste definitiva a quelle canzoni. Promessa adempiuta superbamente, alla lettera, con in più l’ausilio di illustri coadiutori: da Damien Rice a Beck, da Richard Reed Parry degli Arcade Fire a Bryce Dessner dei National, per giungere a Daniel Lanois. Ed ecco “Thanks For The Dance”, (a questo punto possiamo ben affermarlo) il suo ultimo soffio vitale nel mondo sublunare. In forma di pneuma sonoro, le canzoni si sgranano come entro un cerchio magico, bruciando della stessa fiamma poetica che ardeva nel sangue di Cohen. Partendo da Happens To The Heart, chitarra arpeggiata che fa da cornice alla voce ulcerata e dolente dell’aedo canadese, con tocchi di ineguagliabile poesia, e proseguendo per Moving On, mandolino che introduce il sussurro di Cohen, prima che assurga a essenza di bitume depositato tra le corde vocali. L’intima cantilena vocale che contrassegna The Night Of Santiago fa da preludio alla title-track, Thanks For The Dance, un poema in musica per la celebrazione della fine dei tempi, con la voce di Leonard che pare risalire dai gorghi dell’indicibile per raccontarci tutto, amori, passioni bruciate in volo come rondini d’ombra, solitudini sfolgoranti come soli di fiamma su picchi tenebrosi, baudelaireane pulsioni della parola che vuol farsi irrappresentabile. It’s Torn risuona di echi di lontananza ebbri di melanconia, mentre la struggente linea melodica di The Hills, con cori di voci femminili in sottofondo, ci riconduce a estatiche contemplazioni dell’infinito da prospettive iperuraniche, per quello che ci sembra senza meno il brano migliore dell’album, prima di giungere all’epicedio, il finale suggello Listen To The Hummingbird, in cui l’immaginario volo del colibrì, in ragione dello sfarfallio delle ali, si tramuta in lieve danza di tutto l’essere, in soave canto d’addio, nel viaggio infinito verso la terra dei morti del battito cardiaco che non è mai cessato.

Voto: 8/10
Rocco Sapuppo

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