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27 Novembre 2014 , ,

The Legendary Pink Dots TEN TO THE POWER OF NINE Vol. 1

2014 - Soleilmoon-Audioglobe-Rustblade
[Uscita: 28/11/2014]

legendary CoverTra i gruppi di culto sopravvissuti agli anni ’80  i Legendary Pink Dots hanno un ruolo di rilievo. Inglesi ma olandesi di adozione, fecero ad inizio carriera una fortunata tournèe italiana in cui furono apprezzati da uno stuolo di fans che li adottò con passione. Però era la loro musica ad essere croce e delizia degli ascoltatori: un misto di new wave, psichedelia e progressive che sconcertava i duri e puri tra i sostenitori dei rispettivi generi, per essere accolto solo da ascoltatori senza frontiere. La voce allucinata di Edward Ka-Spel è più vicina a quella di un David Allen o di uno spiritato profeta weird folk che a quella di Ian Curtis; i lunghi assoli di chitarra e violini, le complesse partiture di tastiere, potevano conquistare più un fan dei King Crimson che dei Talking Heads; ma i primi sarebbero senz’altri stati delusi dai ritmi robotici della batteria elettronica. Spesso i dischi dei Legendary Pink Dots sono concept album, e questo, che esce in 499 copie in vinile rosa oltre che in CD, mantiene la tradizione. Il tema è quello più classico cospirazionista: dieci persone, che vivono in Himalaya ma hanno l’ufficio per le riunioni in un sobborgo di Londra, governano il mondo. I temi spirituali ed esoterici hanno sempre contraddistinto il gruppo, che per questo motivo è stato spesso intruppato nel giro Coil/Death in June/Current 93, benché la musica sia poi molto differente.

 

ka-spelSin dal primo brano, Ten o’er nine, riconosciamo l’inconfondibile stile del gruppo, con la voce acida del leader su uno sfondo elettronico. Però siamo lontani dai tempi gloriosi. La formazione è cambiata, solo il tastierista The Silverman (Phil Knight) rimane accanto a Ka-Spel tra i membri originali, e l’abbandono del violinista Patrick Q, del chitarrista Stret Majest e del fiatista Niels van Hoornblower si sente, eccome. Non ci sono più le lunghe cavalcate strumentali che rendevano entusiasmanti i vecchi dischi. Qui i brani sono lunghi, atmosferici, con recitativi o voci filtrate piuttosto fastidiose (se le voci dei signori del mondo sono queste non abbiamo nulla da temere), con fughe nel rumorismo totale, in definitiva noiosi. L’antica magia emerge solo a tratti, in brani che hanno unaLegendary_Pink_Dots-300x213 maggiore forma canzone, come Open Season, peraltro troppo tirati per le lunghe. Se non conoscete i Legendary Pink Dots cercate gli splendidi concept degli anni ’80, come “Asylum”, sui manicomi, o “The Island of jewels” (purtroppo le ristampe non hanno più le magnifiche copertine di Frank Barbery) o i dischi del decennio successivo come “Shadoweaver” o “Malachai”, dove si compì un’inaspettata, e riuscita, svolta acustica. 

Voto: 5.5/10
Alfredo Sgarlato

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