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11 Marzo 2017 ,

Ulan Bator STEREOLITH

2017 - Bureau B Records
[Uscita: 24/02/2017]

Francia    #consigliatodadistorsioni     

 

Attorno al progetto Ulan Bator sin dal 1993 hanno orbitato miriadi di musicisti dalle più disparate ascendenze musicali, ma il nucleo originario, l’architrave e la ragion d’essere della band transalpina si sono sempre sostanziati nelle figure carismatiche di Amaury Cambuzat e Olivier Manchion. Rimasto solingo il prode Cambuzat, affiancato dai validi Mario Di Battista al basso e Sergio Pomante alla batteria e ai sassofoni, centra un altro incisivo album, “Stereolith”, sebbene, invero, i tempi di “Vegetale” o “Rodeo Massacre” appaiano remoti. Il suono dell’album in parola è sufficientemente variegato e ben calibrato. Sin dalla prima traccia, On Fire, certi toni da alternative rock rilevano in modo palmare: la voce di Amaury è intensa e obliqua al punto giusto. Gli strumenti modulati in chiave minimale reggono ottimamente la struttura sonora, con la batteria a dominare il proscenio col suo periodare ossessivo, in Stereolith, segmento di diretta ascendenza kraut (Can, Faust).

 

Dal suono sperimentale, chitarra in aperta abrasione e voce al vetriolo, è certamente Blue Girl, gran bel brano che sembra (anch’esso) rinviare ai canoni tedeschi degli anni ‘70. Minimale fino al midollo è, poi, l’impianto della traccia successiva, Spinach Can,ulan-bator3 chitarra appena accennata e voce impastata tuffata in tessuti imbevuti di cloroformio. Altri brani degni di particolare menzione sono Ego Trip, un segmento di ficcante alt-rock dal sapore avanguardistico; la teutonica Neu-Neu, già dal titolo emblematico rinviante agli stilemi dei Corrieri Cosmici, traccia di grande impatto sonoro, sperimentale e potente; la superba Icarus, con largo utilizzo di sintetizzatori, cui subentrano il pulsare dei tamburi calibrati come in una marcia militare e la voce scheggiata del leader a far da sfondo. Infine Dust, introdotta da un tappeto di tastiere elettroniche cui si sovrappone la voce dolente di Amaury Cambuzat  (nella foto a destra) e che poi si snoda lungo un sentiero sonico impervio, contrassegnato dalla chitarra lanciata in cupa distorsione. In ultima analisi, ancora un album di ottima fattura. 

 

Voto: 7/10
Rocco Sapuppo

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