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10 Novembre 2022 , ,

Todd Rundgren Space Force

2022 - Cleopatra Records
[Uscita: 14/10/2022]

Fu nel preistorico 1970 che ci fu l’innamoramento. Fin dal primo, acerbo ma interessante, album “Runt” l’eclettismo di Todd Rundgren ci aveva catturato e affascinato. Fu così che lo seguimmo per quella prima decina di dischi che contemplava anche qualche capolavoro “Something/Anything?” (1972), “A Wizard, A True Star” (1973), alternato a cose comunque sempre valide e apprezzabili, (“Todd” del 1974) considerando anche l’interessantissimo progetto Utopia più improntato verso un progressive rock più elaborato e meno pop. Poi, così come finisce l’amore che strappa i capelli, dopo il decennio di carriera iniziale rimasero solo, a partire dai primi ’80, qualche svogliata carezza e un po’ di tenerezza, fino alla nostra, non si sa quanto colpevole, perdita di vista proseguita fino ai giorni nostri. Ma essendo arrivato il momento di recuperare, ecco che a distanza di cinque anni dal precedente “White Night” (2017) il vecchio Runt pubblica “Space Force” un album che sprizza scintille da ogni brano e che rinverdisce l’immaginario pop/rock/soul che da sempre è la cifra stilistica dell’ormai settantaquattrenne musicista americano. E quel pop-soul di cui Rundgren è da sempre maestro (ricordiamo il bell’album “Faithful” del 1976 con una facciata di sole cover pop di Beatles, Beach Boys, Yardbirds e altri) si esplica fin dal primo delizioso brano, Puzzle, in odore di Bowie ed eseguito in compagnia di un certo Adrian Belew, uno che a parte le strepitose partecipazioni zappiane, bowiane e crimsoniane (e non solo) di pop se n’è sempre inteso a partire dai The Bears, suo primo pop-group, oltre alla carriera solista e al recente poppissimo supergruppo Gizmodrome che vede alle tastiere anche il nostro bravissimo Vittorio Cosma oltre che Stewart Copeland e Mark King ai ritmi. Tornando a Rundgren non abbiamo ancora detto che “Space Force” è un album di collaborazioni per non dire di duetti poiché in ogni brano il nostro è affiancato da un musicista o una band di fama che supporta al meglio l’eclettismo sonoro che distingue il poliedrico artista statunitense. Ecco così che ancora un pop-soul raffinato e seducente venga espresso in Someday realizzato insieme al chitarrista australiano Davey Lane, brano che ricorda i 10 CC, Steely Dan, i Fleetwood Mac “americani” e Hall & Oates (di cui questi ultimi guarda caso Rundgren è stato produttore) così come anche l’accattivante Artist In Residence eseguita insieme a Neil Finn (Splitz Enz ed attualmente Crowded House) che rimembra addirittura gli XTC (dei quali guarda caso Rundgren è stato produttore). Ma l’eclettismo sonoro del polistrumentista americano come dimostrato fin dal lontano primo album non può fermarsi ai deliziosi poppettismi citati. Ecco quindi che Down Whit The Ship col cantante Rivers Cuomo (ex Weezer) è uno ska-ragamuffin saltellante al cui ascolto è impossibile star fermi, Godiva Girl con la band hip hop The Roots è invece uno splendido funky-soul di stampo zappiano come zappiane sono la funambolica e teatralmente da Music Hall Your Fandango eseguita insieme ai folli fratelli Mael (The Sparks) ben a loro agio in una simile dissennata proposta. Ancora tracce di Frank Zappa ritroviamo in I’m Leaving con i Lemon Twigs in passato già collaboratori di Rundgren e quella marimba che lo zio Frank fece assurgere a strumento principe della propria musica. Un po’ di rock duro lo ritroviamo invece nella chitarra lancinante del folletto Rick Nielsen (chi ricorda i suoi Cheap Trick, per un certo periodo alfieri di un power pop di grande successo?) nel brano STFU acronimo di una certa volgarità contenuta nel testo. E poi ancora abbiamo il sontuoso rap-soul di Espionage eseguito insieme al rapper iracheno Narcy con le sfumature soul di un flauto vellutato che ricorda quello di Hubert Laws, mentre Thomas Dolby spruzza di elettronica I’m Not Your Dog con un risultato più da Gary Numan che da Dolby stesso. Head In The Ocean con il giovane cantautore Alfie Templeman riprende il delicato pop-soul sofisticato di cui si è già detto e il gran finale vede la particolarissima e virtuosistica chitarra di Steve Vai sottolineare da par suo Eco Warriors Goddess che conclude un album composito, eclettico e poliedrico come pochi recentemente ci è capitato di ascoltare. Sufficienza piena per il ritorno del vecchio Runt ai fasti dei primi album anche se forse non se n’era mai andato.

Voto: 8/10
Maurizio Pupi Bracali

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