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20 Giugno 2017 , ,

Obsessed SACRED

2017 - Relapse Records
[Uscita: 7/04/2017]

Stati Uniti

 

L’unica vera domanda sul tempo al tempo del post Recherche è quella sulla madelaine più che sul tempo, più sulla possibilità di costruzione del ricordo che dell’accesso alla memoria. Il nuovo lavoro di Scott “Wino” Weinrich e della sua ormai irriconoscibile creatura, gli Obsessed, sembra porci le stesse urgenti questioni sulla possibilità di vivere la memoria come possibilità del presente. “Sacred”, questo il titolo della novella creatura, si impone così a distanza di 23 anni dal classico “The Church Within” come una paradossale forma di autorappresentazione delle origini, la celebrazione di una tradizione che porta diritti alla sua distruzione. Non è possibile infatti spiegare altrimenti i caduchi se non fallimentari tentativi di reunion della band ostinatamente prodotti da Wino sin dal 2011. L’impresa ha generato qualche concerto non troppo esaltante e l’evaporare pressoché istantaneo degli altri componenti degli storici Obsessed. Si arriva così con una formazione completamente rimaneggiata, verrebbe da dire di fortuna, a questo “Sacred”, flebile fiammella del tempo che fu. Il percorso di Wino atto a rintracciare il mitologema doom è così preciso, così essenziale e quindi, in fondo, così artefatto da non lasciare scorgere che una sola scintilla laddove ardeva il fuoco.

 

Più nello specifico quel senso di solitudine disperata del riff, che avevamo apprezzato anche nella lunga teoria delle sue collaborazioni, qui diviene il soliloquio desolato di Sodden Jackal, ottimo esergo del disco che sarà ma proveniente da una stagione che fu – a quanto pare il pezzo fu scritto nella sua architettura portante circa trent’anni fa. A partire da qui Punk Crusher ha lo scopo di infervorare gli animi più sensibili alle scarne atmosfere dell’hard rock scaldate dal cupo alito della voce di Wino e dai trascinanti colpi inferti alla batteria da Brian Costantino il quale sembra aver campionato i suoni di “Burn” direttamente dal 1974. Si perviene così alla stessa Sacred gongolante di languori doom incastonati in riff potenti che amano specchiarsi nel blues e sembrano voler spiegare ancora una colta perché tutto parta da lì. Il problema è che tutto finisce lì e in una sorta di didascalia elegante alla genesi dello stoner rock. È impossibile non percepire che tutto il disco viva in una sospensione amniotica composta da Thin Lizzy (palese la citazione di Stranger Things) e Alvin Lee. La sensazione è che Wino abbia finalmente deciso di metterci a parte in modo piuttosto imprudente della sua personalissima storia della filiazione del rock ad ogni livello a partire da sé riflesso in uno specchio a sei corde. Haywire è esemplare di questo vezzo pedagogico da divulgatore televisivo nel quale il fascino è tutto nelle sfumature e nel colore della ricostruzione. Gli anni settanta la fanno da padroni nel quadro dipinto dagli Obsessed tanto che è veramente difficile comprendere dove finisca l’intento filologico e inizi quello artistico, dove in My Daughter My Son finisca il discorso sui Black Sabbath e inizi quello, che abbiamo a lungo apprezzato, dei loro figli maledetti. A sancire tale bruma artistica l’esclusione dal vinile di On So Long, forse il più fulgido lavoro da molti lustri di Weinrich, e presente solo come Bonus Track nelle edizioni non standard. 

 

Voto: 6/10
Luca Gori

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