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27 Settembre 2017 , , ,

Machine Mass Plays Hendrix

2017 - MoonJune Records
[Uscita: 01/06/2017]

Belgio-Inghilterra 

 

hendrix a3973658163_16Il 2017 è un anno di grandi cinquantennali. Se “Sgt. Pepper…” torna fra noi in veste di (ennesimo) cofanetto Deluxe, un diverso tipo di omaggio è tributato a “Are You Experienced?”, debutto della Jimi Hendrix Experience. Gli anglo-belgi Machine MassMichel Delville (chitarra ed elettronica) e Anthony Bianco (batteria) — diventano trio con l’inserimento di Antoine Guenet (tastiere) per celebrare il mancino di Seattle ripercorrendone parte del repertorio (esulando in realtà dall’originaria tracklist del suo esordio) in una chiave che è quanto meno azzardato definire fusion piuttosto che prog (avantgarde jazz, per alcuni). L’album, come simili esperimenti di coverizzazione, suscita sentimenti contrastanti. All’inevitabile confronto con l’originale si affiancano i paragoni con l’ormai ampia letteratura di revisioni hendrixiane. Se rispetto a queste l’opera di Delville & co. brilla per sperimentazione timbrica (che Jimi avrebbe assai apprezzato), paga dazio in termini di feeling se confrontata al sound degli Experience. L’album è interamente strumentale ma cerca di attenersi al rispetto del segno.

 

henOpzione che però non sempre dà i suoi frutti, su brani che non sempre hanno linee vocali “cantabili” anche sugli strumenti: imitarle con synth e chitarra (come in Fire) risulta sovente stucchevole. Se ne sarà accorto lo stesso trio durante la registrazione (realizzata senza overdub e con poco editing in una sola giornata, con i pezzi incisi nell’ordine in cui compaiono nella tracklist): giunti a The Wind Cries Mary, i Machine Mass scelgono di sostituire la voce di Hendrix…con essa stessa, qui riproposta in versione speech. Molto meglio l’interpretazione del tessuto strumentale: la chitarra traduce molti passi in lingua prog e i synth suppliscono bene all’assenza del basso, ricalcando diverse frasi di Redding (3rd Stone From The Sun), mentre Bianco sottolinea il lato jazz di Mitchell. Un lavoro non sempre lucido e meditato, un po’ freddo, ma suonato molto meglio rispetto alla media delle “libere traduzioni da James Marshall Hendrix”.

 

Voto: 6.5/10
Francesco Brusco

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