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16 Aprile 2018

Femi Kuti ONE PEOPLE ONE WORLD

2018 - Knitting Factory Records
[Uscita: 23/02/2018]

Nigeria

 

Il nome di Kuti nella musica africana è sinonimo di afrobeat, quella particolare miscela di ritmi afro e jazz dal fortissimo impatto fisico che il musicista Fela Kuti rese famosa  partendo dalla sua Nigeria per conquistare poi fama e stima nel resto del mondo, fin da quando nel 1971 il batterista dei Cream Ginger Baker lo portò in tour in Inghilterra. Da quel momento l'influenza dell'afrobeat sulla musica contemporanea è stato incalcolabile e oggi ne troviamo gli epigoni dagli svedesi Goat ai brasiliani Nomade Orchestra, e naturalmente a tenere alto il vessillo del genere ci sono, da quando nel 1997 Fela è morto, anche i figli, in particolare Femi Kuti, il primogenito  nato nel 1962, ha ormai una lunga carriera alle spalle, del 1995 è il suo debutto discografico accompagnato dalla sua band, Positive Force,  presente anche in quest'ultimo lavoro. Come tutti i figli di cotanto padre anche la vita artistica e umana di Femi si è mossa nella dicotomia fra l'amore e la devozione verso il genitore e il tentativo di costruirsi una carriera autonoma e non solo come 'filgio di...'.  Ma certamente un'attività lunga decenni, prima nell'orchestra paterna, e poi da solista con una decina di album alle spalle e un'attività live quanto mai intensa, gli hanno dato lustro e notorietà, anche per la sua abilità di sapersi muovere anche in ambiente mainstream.

 

Attivista per i diritti civili, combattente contro il razzismo, Femi Kuti, come il padre, unisce senso del ritmo, gioiosità e temi di forte impatto politico e sociale, ma la strada intrapresa dal figlio si distingue per essere meno rabbiosa e feroce, con una maggior apertura verso la speranza in un mondo più giusto e umano. E certamente quella di "One People One World" è una muscia più accessibile alle orecchie occidentali, i suoi agganci al reggae e al soul ammorbidiscono l'impatto dell'afrobeat e dell'highlife, e non è un caso che le sue canzoni abbiano tutte la lunghezza standard intorno ai 4 minuti, ottime per essere trasmesse dalle radio, ma mancano dell'impatto devastante delle lunghe e travolgenti composizioni di Fela. Ritmi caraibici caratterizzano l'inno contro la corruzione Africa Will Be Great Again e il soul modella il canto in It's Best To Live in the Good Side, la title track, testo contro razzismo e rapacità, è un'originale miscela di highlife e chitarre calypso. Ci limitiamo a questi pochi cenni alle singole tracce, ma bastevoli per capire che ci troviamo davanti a un disco di buona fattura, suonato in modo impeccabile da bravissimi musicisti, ma c'è un grandissimo ma, non è più questa la musica che dobbiamo chiedere all'Africa che in questi anni ci ha abituato a operazioni ben più ardite e radicali, in cui il trapiantare influenze straniere su un impianto tradizionale ha prodotto risultati sorprendenti e mirabili. Quindi un buon disco, gradevole e orecchiabile, ma era lecito pretendere qualcosa di più. 

 

Voto: 6,5/10
Ignazio Gulotta

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