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10 Ottobre 2012 ,

Lightning Bolt OBLIVION HUNTER

2012 - Load Records
[Uscita: 25/09/2012]

Lightning Bolt, “Oblivion Hunter” (Load RecordsLa cosa che più mi aveva colpito nell’ascoltare i primi lavori del duo di Providence era la loro innata capacità di violentare i più svariati generi musicali e farli confluire nel ciclone di incontrollabile potenza asfissiante e cacofonica della loro energia estemporanea. Ora la potenza brada è diventato un mero esercizio di stile e l’irriverente atteggiamento weird e parodistico, figlio del rifiuto e della poetica del nulla è decisamente sbiadito. Il materiale prodotto dopo “Hypermagic Mountain” (forse includendo lo stesso) non ha più convinto e non ha avuto l’impatto spiazzante che ci si aspettava. In queste cinque tracce ancora una volta si va a recuperare vecchio materiale, per lo più risalente al 2008. E ancora una volta viene trasmessa una ricerca artificiosa del rumore parossistico fine a se stesso, voglia di stupire che finisce per diventare manierismo e monotonia. Questo è il modo più bizzarro per finire di incarnare ciò che agli inizi sembrava essere il proprio contro manifesto esistenziale e la propria forza innovativa.

 

La noia finisce per prendere il posto del divertimento ed allora la velocità e il rumore sono interferenze fastidiose e urticanti che mettono su quadretti del già detto e già visto. Salamander è una cavalcata ritmica e sfrenata che a tratti fa il verso agli Who e che finisce per violentare il minimalismo visionario di Terry Riley con barocchismi reiterati e accozzaglie speed metal. World wobbly wide si ispira alla decostruzione meccanica e ributtante dei Chrome ed è giocata sulle prodezze caotiche quanto matematicamente assettate del basso spiritato e distorto di Brian Gibson: una leggenda che ha fatto scuola nella factory del Fort Thunder con i suoi virtuosismi spastici ottenuti con accordatura per quinte. Il giusto spazio è dato anche al prodigioso Chippendale e alla sua devastante sezione ritmica in King Candy. Tutto appare eccessivamente pomposo e condito mentre le strutture base sono di fatto destrutturate, c’è forzatura e c’è uno sfoggio di drum’n’bass di eleganza neanderthaliana.

 

Viene meno l’ironia e l’attitudine di cialtrona spontaneità. Tutto lascia pensare ad un caos organizzato e digerire le interminabili sceneggiate freecore e i tour de force pirotecnici diventa roba veramente faticosa. La colorata demenzialità è in parte rievocata in Fly Fucker Fly che pure si muove su linee di banalità e ripescaggi ultra abusati. Mi chiedo se c’era veramente bisogno di spremere così a fondo una formula che inizialmente aveva rappresentato la realtà manifesto di un’epoca o se a tutto ciò bisogna anche aggiungere il cambiamento degli hypes sociali. Se prima l’indignazione nei confronti del conflitto comunicativo si manifestava con la satira pungente ma mai rabbiosa o violenta c’è da chiedersi veramente con preoccupazione, oggi, dove stiamo andando.

Romina Baldoni

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