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15 Aprile 2012 , ,

Justin Townes Earle Nothing’s Gonna Change the Way You Feel About Me Now

2012 - Bloodshot
[Uscita: 26/03/2012]

JUSTIN TOWNES EARLE Nothing's Gonna Change the Way You Feel About Me Now  Con questo album dal vivo in studio, registrato senza sovraincisioni in soli quattro giorni in una chiesa sconsacrata in Asheville in North Carolina (qualcuno ha detto Trinity Sessions?), Justin Townes Earle giunge al suo quinto lavoro e abbandona parzialmente le strade principali del country-folk, per deviare verso sud, percorrendo quelle meno battute che portano al soul e al blues di Memphis. Quelle, per capirci, segnate in blu da Least Heat Moon. Non che la sterzata sorprenda troppo, la freccia per la deviazione era già stata messa dopo alcuni incroci gospel-soul dell’album precedente. E’ naturale quindi che la strumentazione si sia arricchita di una sezione fiati, e sia stato dato ampio risalto all’ organo hammond e al delizioso violino affidato ad Amanda Shires.

 

Country Got Soul dunque, come quelle due favolose compilation di alcuni anni fa dove i protagonisti, solitamente armati di chitarre acustiche e armoniche a bocca, si lasciavano sedurre da bordate di sax, trombe e cori gospel. Forte odore di pioggia sull’asfalto per Am I That Lonely Tonight di limpida matrice Stax, che ha il compito di aprire l’album con il suo misurato arrangiamento di ottoni e violino: è un brano squisito e molto ispirato che sarebbe potuto uscire dalla penna del Jeff Tweedy più malinconico e che avrebbe fatto un figurone sul disco da lui prodotto per Mavis Staples. Atmosfere simili anche per la title-track che sarebbe potuta appartenere allo Springsteen rimessosi in viaggio dopo la notte trascorsa in quel motel di Reno. Non si fatica a riconoscere Sam Cooke nella vivace Look The Other Way, e Otis Redding nel buon errebì di Baby’s Got A Bad Idea.

 

Soul music che non viene abbandonata nemmeno dalla solida ballata Maria, non troppo originale ma con un elegante lavoro di fiati sullo sfondo, e da Memphis In The Rain, hiattiana fin dal titolo. Con la tromba e i cori di Lower East Side non si è distanti da certi blues di Chet Baker; il country non viene ripudiato e si riaffaccia nella bella Unfortunately Anna e, soprattutto, negli interni disadorni fotografati dallo scabro e dolente violino di Won't Be The Last Time, con l’ autore in perenne fuga da se stesso, da una vita vissuta finora sempre al limite, e dai suoi fantasmi. Fantasmi da cui non ci si può liberare così facilmente, avendoceli subito dopo il nome e nel cognome stesso. E’ il motivo per cui le prime parole che si ascoltano siano “Ho sentito mio padre cantare ‘riportami a casa’ alla radio” e che più volte si presenti la volontà di essere un uomo migliore anche se, come suggerisce il titolo del disco, gli sforzi appaiono inutili.

C’è comunque un piglio piuttosto ottimista che viene lasciato trasparire dalla penultima Movin’ On con il suo boom-chica-boom, e dal breve blues acustico No Different Blues posto in chiusura dove la tristezza appare solo nel titolo.

Roberto Remondino

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