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25 Gennaio 2015

Sleater-Kinney NO CITIES TO LOVE

2015 - Sub Pop Records
[Uscita: 20/01/2015]

USA   #Consigliato da Distorsioni 

 

sleater coverSleater-Kinney sono tre musiciste coraggiose. Dopo 11 di carriera insieme, nel 2005 arriva l’annuncio di una pausa di riflessione per il gruppo. Dopo “The Woods”, sentono di non poter più dire nulla di rilevante come ensemble. Si buttano in altri progetti: Corin Tucker forma una sua band e Carrie Brownstein e Janet Weiss si compattano nel super-gruppo indie Wild Flag. A distanza di 10 anni, i tempi si fanno maturi per ritornare a suonare insieme. Non è la solita reunion, almeno non pare. La spontaneità e l’onestà si fanno riconoscere. La scrittura di questi dieci brani che compongono il nuovo lavoro “No Cities to Love” si basa sull’improvvisazione tra i tre elementi della band, tra le due chitarre di Tucker e Brownstein, e i ritmi a volte sorprendenti di Weiss. Per chi già le conosce e le ha seguite nel corso degli anni, gli intrecci di chitarra non hanno perso per nulla il loro smalto e la loro geometria, così come i dialoghi vocali tra Carrie e Corin. Ne sono testimoni brani come Price Tag, No Cities to Love e Surface Envy. Ma questo non è solo un disco dove si dà una lucidata a formule e cliché, è un disco rilevante, che ha una sua voce proprio qui e proprio ora. 

 

All’elemento indie e post-rock che le ha sempre caratterizzate, le Sleater-Kinney ne aggiungono un altro, funky, latitante nelle uscite passate, a volte tagliato con alcune atmosfere wave. E’ il caso di brani come Fangless, No Anthem, Bury Our Friends. Rimandi punk-funk à la Gang of Four, che confezionano canzoni che sarebberosleater delle potenziali hits se esistessero ancora dei dancefloor rock, ma comunque danno un nuovo senso alla parola canzone nel 2015. La parola asseconda la musica (Gimme Love), senza per questo essere vuota e vana, anzi, le S-K possono considerarsi una delle poche band che riesce a riempire di contenuto politico una canzone indie. Non mancano infatti ragionamenti sugli effetti devastanti della logica capitalista (Price Tag e No Cities to Love), così come sul gioco della fama (“Mi sembra che l’unico risultato della fama sia la mediocrità”, in Hey Darling, o “Una volta ero un inno/Cantavo il canto di me” in No Anthem). Critica e autocritica, suoni taglienti e una padronanza totale dello strumento vocale, per un disco che è l’ottavo episodio di una serie immacolata.

Voto: 8.5/10
Rachele Cinarelli

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