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13 Novembre 2013 ,

Arp MORE

2013 - Smalltown Supersound
[Uscita: 16/09/2013]

arp more# Consigliato da DISTORSIONI

 

I migliori ascolti della nostra vita ci ‘perseguitano’. Si appiccicano addosso, si ancorano dentro. E sebbene si tenda ad accantonarli desiderando nuove esperienze auditive, eccoli lì, che si ripresentano in forma trasognata, lasciandoci interdetti e carichi di suggestioni. Tale deriva, edulcorata finché si vuole,  noi la proviamo una volta di più ascoltando album come “More”, opera terza su lunga distanza di Arp (precedono: “In Light”, 2007; “The Soft Wave”, 2010). Arp, è in realtà moniker di Alexis Georgopoulos (base N.Y.), già depositario di sigle quali Alps, gruppo west coast dall’esoscheletro lo-fi e polpa kraut-psichedelica, o Frkwys III,  titolo di una estemporanea collaborazione col mitico artista canterburiano Anthony Moore (Slapp Happy). Nella configurazione “More”, il Georgopoulos attinge in ambito very british, con coordinate rinvenibili nei primi Roxy Music, anche perché costoro diedero agio al rumorista Brian Eno di andarsene e formarsi da solista con archetipi quali Here Come The Warm Jets (1973), Taking Tiger Mountain (by Strategy) (1974), fino a Another Green World (1975) , trame pop a loro volta radicate nel sofisticato sperimentalismo musicale britannico (dallo chamber-pop più melodico  a quello più avant-garde a cavallo tra 60’ e 70’, Canterbury sound compreso). D’altro canto Arp, in questo disco, si profonde in un estetismo cangiante, dedito alla musica minimale di cui a Glass/Reich/Palestine, pure alle tessiture barocche a firma Penguin Cafè Orchestra o ancora a certe emulsioni sentimentali targate Belle and Sebastian. Che detta così, sembrerebbe composto alquanto indefinito, ma in realtà in grado di reggere l’ascolto grazie al perfetto  equilibrio tra contenuti e linguaggio formale, fatto di chitarre disturbate, tocchi di pianoforte, vocalità sussurrate, elettroniche dal fascino analogico, sax, violini e impronte sonore ambientali. 

 

Arp_byShawnBrackbillScorrendo “More”, con High-Heeled Clouds, opening track, ci ritroviamo in una melodia soffice, voce delicata, pianoforte che scansiona un basso rotondo (tipico sixties) e un afflato d’organo autunnale, dolce quanto può esserlo un mezzo sorriso; Judy Nylon è invece un neurone espiantato dalla testa di Eno edizione 73’, conservato per criogenesi e inoculato in chitarre sature quanto i nostri ricordi; A Tiger In The Hall At Versailles, quasi uno strumentale, tastiere, archi, basso protagonista e pizzicherie elettroniche, si rinvigorisce di cori e anse riverberate (è un flash abbastanza Tricatel Records, parbleu!); con E2 Octopus, giochi di nastri e giochi elettronici si trasfondono in un tenero interludio di ambient da sottobosco; Light + Sound, flebile ballata,  introduce con mellotron flautato il pianoforte e una vocalità dimessa; 17TH Daydream è ancora una suggestione ambientale tra rumorismi (foresta lussureggiante, suoni di treni, twang lontanissimi) e archi dissonanti; Gravity (For Charlemagne Palestine), già singolo, come da titolo rappresenta un omaggio, molto riuscito, al noto compositore minimalista;  Invisible Signals, altro inserto soundscape apripista di  More (Blues) che, incredibile a dirsi, è un bellissimo lentone, discreto, con tanto di hammond melanconico, fiati commossi e ballabilità assicurata fino all’estremo limitar dei lombi (ma troppo breve); e dopo un  rifrattivo inserto di chitarra sottomarina a nome V2 Slight Return, ecco  Daphné & Chloe,  ballata romantica piena di echi e reminescenze, che va per la sua strada, fino ai nostri cuori (se battono anche per Galaxie 500); infine Persuasion, chitarra ritmica e minimoog che sorreggono a vicenda un r’n’r strumentale evocativo, financo capace di richiamare gli insegnamenti V.U. e quelli del suo riconosciuto genio.  E quindi, cosa ci ha dato Alexis Georgopoulos in arte Arp? Una centrifuga in cui perderci nel ricostruire i nostri ascolti preferiti, unendo particelle sparse,  compattando pulviscoli. Una sorta di pop molecolare, col quale sto’ tipo è riuscito a prenderci alla gola.

 

 

Voto: 8/10
Marco Prina

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