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28 Marzo 2012

Bungalow 62 MAD, BAD, DEAD

2012 - Autoprodotto/Fleisch Agency
[Uscita: 20/03/2012]

Bungalow 62 - MAD, BAD, DEADChissà perché non riesce a sorprendere neanche più di tanto il fatto che per trovare le cose più interessanti e pregevoli bisogna andare ad attingere nel sommerso, farsi largo nel mezzo di cumuli di spazzatura imbrillantinata da colori ad effetto e titoli shock e iniziare letteralmente a scavare. A quel punto ci si può trovare tra le mani anche un piccolo gioiellino di raffinata fattura racchiuso da un’anonima copertina sbiadita (che non a caso ritrae un perfetto estraneo fotografato per le strade di San Juan di Porto Rico). A quel punto, se solo si ha un minimo di dimestichezza con l’underground più interessante e originale che il nostro bel Paese preferisce tenere nascosto sotto macerie ed immondizia, si possono leggere i nomi di Paolo Forlì e Mattia Coletti. Per chi è veramente bravo a fare due più due certamente tutti i conti potrebbero quadrare ma, nel caso contrario, basta solo mettere su il disco ed ecco che invertendo l’ordine degli addendi si può arrivare allo stesso risultato.

 

Con il primo lavoro autoprodotto del 2010 “Snowy teeth drive”, il nome di Bungalow 62 era senz’altro balzato all’attenzione dei più esperti scavatori, riportando alla luce l’illuminata delicatezza compositiva di Paolo Forlì, autore nostrano capace di tradurre in musica istinto e sogno, passione e poesia. Voli pindarici sulle delicatissime ali di cristallo di una chitarra acustica e pochissimi altri strumenti sfiorati nella loro trasparenza, in riverberi ipnotici che accarezzano i sensi e dilatano gli spazi percettivi. L’immaginario bucolico di Mattia Coletti e il suo blues scarno si erano già perfettamente sintonizzati con i miei gusti nei due brani ascoltati nelle compilation Brigadisco 2008 e 2010, "Poliuretano" (Inland) e "Rigadritto" (45 Bells). Anche in questo nuovo "Mad, Bad, Dead" il sodalizio tra i due artisti continua e ci regala otto bozzetti intessuti nelle semplici maglie del folk minimale. Si plana nella leggerezza, in un rarefatto paesaggio fiabesco pulito e rassicurante in cui gli spunti più ispirati e inusuali hanno contorni fragili e toni sommessi per meglio adagiarsi nella nicchia del cuore, nella forza evocativa dei nostri pensieri.

 

Gli arpeggi delicati e sospesi di The Two MarshallJoseph’s Turpentine, Monkey and Camels delineano mondi sonori intensi e sfaccettati, lasciano intravedere un piglio di autorevole profondità e intuito nel saper dare emozioni con pochi, sapienti, calibrati tocchi. Basta la voglia e la fermezza del non rendersi omologabili per risvegliare gli intenti più sublimi di dischi ipnotici e sensoriali che popolano il nostro immaginario intorpidito, ed ecco levarsi sentori impalpabili dei colori sbiaditi di Nick Drake, della visionaria carezzevole alchimia di Syd Barrett, del carillon lieve e malinconico degli Eels di "Electro Shock Blues" (Dreamworks, 1998) che sfuma il confine tra gioia e dolore. Sì, perché la magia del talento si serve di sentieri poco battuti per aprirci ai suoi prodigi, dove passa lui non si sente lo scrosciare crepitante degli applausi, basta un soffio di vento in una bottiglia di plastica, l'impalpabile picchiettare su una vecchia sedia ripescata nel mucchio o un tamburo improvvisato con una lattina di birra. Basta solo avere la pazienza di cercare per capire che il mucchio è composto da oggetti indistinti e anonimi ed altri, a volte meno vistosi, che nascondono vibrazioni speciali che aspettano solo di essere scoperte ed esaltate.

Romina Baldoni

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