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17 Gennaio 2017 ,

Sepultura MACHINE MESSIAH

2017 - Nuclear Blast
[Uscita: 13/01/2017]

Brasile

 

Sono – compreso questo – 14 gli album che si possono attribuire al marchio Sepultura e, a differenza del precedente “The Mediator Between Head and Hands Must Be the Heart”, almeno in questo caso non rincresce l’occorrenza che non vi sia alcun segno evidente che si possa finalmente cessar di contare.

Machine Messiah” è un concept-album, e come ogni concept che si rispetti vorrebbe essere un punto di caduta privilegiato tale da far convergere l’insieme del detto e del non-detto di una storia creativa. Ed è così che troviamo esattamente ciò che ci aspettiamo di trovare in un album della band brasiliana, nell’ordine: secchiate di tribalità mordi e fuggi, una buona tecnica e velocità d’esecuzione, autocitazioni che inteneriscono il più ruvido tra gli estimatori della band e una buona dose di conservatorismo compositivo. Tutto ciò al netto della ormai bolsa polemica che ha visto scontrarsi frontalmente il partito dei probi pro-Cavalera-brother con il resto del mondo; e tanto più se si considera che Andreas Kisser non sfigura affatto nel confronto a distanza con quanto prodotto successivamente alla dipartita dei prodi succitati dalla band da essi stessa fondata. Allo stesso modo la superba voce di Green ha una sua malinconica profondità che ne fa uno dei grandi maestri del genere e la fluidità con la quale scivola dagli abissi magniloquenti nei quali si esercita sul pulito al growl passando per lo scream non hanno eguali – o quasi - nel panorama del metal contemporaneo. Ma è sufficiente un ascolto alla mirabile esecuzione vocale di Sworn Oath per capire che tutto ciò non basta per svettare oltre sé stessi.

 

Non è in questione qui l’originalità, né tantomeno la cosiddetta osannata ricerca, qui è in questione il gesto che solo fa di un oggetto ben tornito o di un brano ben eseguito un’opera. E il gesto ha cessato di essere tale per divenire semplice tic. Non ci sfugge, ad esempio, la struggente bellezza del principiare arpeggiato di Machine Messiah, ma tutto è troppo controllato per poter colpire dove si vorrebbe e la malinconia diviene un semplice effetto collaterale. Non sappiamo affermare, detto altrimenti, con assoluta sicumera se questa prova dei Sepultura sia o meno inferiore alle altre celebri (“Root” su tutte) che hanno costruito l’impalcatura mitica della band; sappiamo però che è inane valutare in futuro a partire dalle tracce del passato perché non potremmo che ritrovarvi questo. E invece è esattamente ciò che avviene ascoltando composizioni come Phantom Self con le sue percussioni e i suoi archi in cui la volontà di costruire un percorso autonomo passa per la rimozione di una storia che tuttavia continua a pesare con tutto l’ingombro della sua cancellazione.

sepulturaaaaaNon sfugge allo stesso modo la volontà da parte dei Sepultura di ironizzare sui loro stessi luoghi comuni e lo spassosissimo trash country di Ultraseven No Uta merita quanto meno una menzione. Eppure l’ironia a sua volta è arte del buon nascondersi, non dell’occupare tutta la scena, sia pur per lasciar andare i propri vizi. È così che ci troviamo a dover raccontare un disco con più brand che anima, prodotto in modo encomiabile da Jens Borgen (Katatonia, Opeth) e quasi perfetto in tutte le sue sbavature. Verrebbe quasi da dire: peccato si tratti di musica.

Voto: 5,5/10
Luca Gori

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