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30 Novembre 2020 ,

King Gizzard & The Lizard Wizard K.G.

2020 - Flightless Records
[Uscita: 20/11/2020]

Non è una sorpresa per i fans più appassionati dei King Gizzard & The Lizard Wizard il ritorno alla strumentazione microtonale; già dai tempi di “Flying Microtonal Banana”, la copertina indicava un “vol.1” che lasciava ben sperare in un seguito. Di fatto il ritorno nel 2020 è segnato da sonorità già note agli ascoltatori e già questo pone in difficoltà l'ascolto di un gruppo che ha fatto della reinvenzione stilistica una ragione d'essere. Ogni album dei Gizzard è tradizionalmente legato ad un concept (l'album space-rock, quello thrash-metal, quello prog-folk, quello jazz-pop, ecc) e la presenza di uno stile musicale già esplorato mette in risalto uno dei punti più deboli della band di Melbourne: la ripetitività, il gioco all'autocitazione continua, mentre le canzoni prese in sé aggiungono poco. Tuttavia i KG sembrano aver trovato una cifra stilistica propria, un genere dentro i generi in cui si muovono già dai tempi di “Polygondwanaland” e “Gumboot Soup”; un folk poliritmico con influenze etniche sembra essere diventata la cifra stilistica dei KG successivi alla corsa dei 5 album del 2017 (operazione che rivista a distanza di 3 anni, appare quanto mai deleteria per la creatività della band), ad eccezione dell'attesa puntata su un genere definito come il metal con “Infest The Rats' Nest”. Accertate queste coordinate, preso nota dell'uscita dal gruppo del secondo batterista Eric J Moore (fondatore di Flightless Records), “K.G.” non si rivela un naufragio, anzi: Minimum Brain Size allarga lo spettro delle influenze etniche al desert blues dell'Africa Occidentale, a metà tra Tool e Tinariwen; Straws In The Wind è una polverosa ballata, affidata alla bravura di Ambrose Kenny Smith; Some Of Us e Automation tornano su sentieri già percorsi (Muddy Water, Greenhouse Heath Death), Ontology e Oddlife portano i Talking Heads di “Remain in Light” a fare un giro nell'entroterra della penisola anatolica, mentre Intrasport (il pezzo outsider nella soluzione sonora) gioca direttamente di sponda tra beat acid-house e synth microtonali. Se ad Honey tocca rispolverare i fasti che furono di “Paper Maché Dream Baloon”, in un mieloso episodio acustico, The Hungry Wolf Of Fate richiama le battaglie spaziali di “Murder of the Universe” e la deriva doom-metal, menando il cane per l'aia in modo un po' sconclusionato. Nonostante i Gizzard mantengano fede alla propria naturale inclinazione all'eclettismo, “K.G.” risulta troppo timido, dimesso e sottotono rispetto a ciò che il gruppo ha prodotto in passato. Forse è colpa del lockdown che ha costretto i Gizzard a realizzare l'album a distanza, forse è il segno che l'età degli assalti psych-punk è passata. In contemporanea con “K.G.” esce anche un “Live In San Francisco '16”, in cui viene immortalata l'era in cui uscì “Nonagon Infinity”. La sensazione è quella che una certa hype sia passata e che in una fase più stabile della carriera i Gizzard facciano fatica a lasciare il segno.

Voto: 5/10
Ruben Gavilli

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