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29 Maggio 2015 ,

The Staves IF I WAS

2015
[Uscita: 23/03/2015]

Inghilterra

 

TheStavesIfIWas_Album-artwork-low-resLe sorelle Staveley-Taylors, The Staves, provenienti da Welford, Hertfordshire, Regno Unito hanno una carriera piuttosto breve - sono attive dal 2010 - che trova il punto focale in questo secondo lavoro, “If I Was”. Dopo 4 EP, 2 raccolte live, una serie di collaborazioni disparate (da Tom Jones all’irlandese Fionn Regan) e un album di debutto, “Dead & Born & Grown” arriva per loro il momento di distinguersi dalla massa indistinta di ukulele e camice a quadri dell’indie folk odierno. Accade con l’aiuto di Justin Vernon, fondatore del progetto Bon Iver, a oggi uno dei più accreditati padrini del genere. Le tre sorelle si sono mosse dalla natia Inghilterra per approdare nello studio leggendario in cui il buon Justin registrò “For Emma, Forever Ago” di Eau Claire, Wisconsin. In questo sta il vero punto nodale del disco nel bene e nel male: l’influenza di Vernon è preponderante su un gruppo di ragazze ben intenzionate ma non ancora ben focalizzate artisticamente. La presenza di un personaggio così importante dietro al loro disco non giova però del tutto alle Staves che partono con la tempestosa Blood I Bled per poi passare all’intreccio di Steady, rallentando nella sequenza No Me, No You, No More/Let Me Down che richiama all’orecchio i cori silvestri del Bon Iver di “Blood Bank EP”, e si presenta subito come uno dei momenti più interessanti del disco. I toni inquieti dell’inizio tornano nella lunga e ossessiva Damn It All mentre Don’t You Call Me Anymore è un elegia folk che mantiene una sua personalità nonostante le armonie vagamente soul richiamino The Wolves di Bon Iver. 

 

The_Staves_image_BW_wallLa scintillante ballata sudista di Teeth White si può avvicinare ai Band Of Horses più ispirati, l’incedere marino di Horizons si distacca finalmente dalle influenze americane per approdare a melodie del patrimonio folk inglese. Poi ci sono i drappeggi troppo scontati di Make It Holy (dove finalmente la presenza di Vernon si concretizza) e le tirate indie rock che scimmiottano certo folk rock anni ’60 (Black & White The Shining). Il finale è incerto come l’inizio, fatto gravare tutto sulle spalle dell’eterea aplomb pianistica di Sadness Don’t Own Me. Un altro fantasma aleggia in questo If I Was, quello dei Fleet Foxes che con le loro armonie vocali hanno aperto una strada a molti artisti contemporanei. Nelle Staves l’utilizzo delle armonie vocali e dei cori a volte risulta eccessivo e poco efficace. Inoltre, dove i testi di Robin Pecknold (frontman dei Fleet Foxes) impreziosivano una composizione melodica complessa e rendevano narrativa e piena di suggestioni la crisi esistenziale/sentimentale di “Helplessness Blues”, il songwriting delle Staves pronuncia debolmente e ripetutamente the staves 1-1le stesse quattro frasi sul tema abusatissimo dell’amore tormentato, lontano dalla sincerità rude ed intorpidita di un Bon Iver. If I Was è un disco gradevole da ascoltare, che deve in gran parte il suo hype e personalità ad altri artisti con cui è inevitabile un confronto. Chissà se un eventuale futuro terzo disco non guardi a nessuno se non a loro stesse.

 

Voto: 6/10
Ruben Gavilli

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