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20 Dicembre 2014 , ,

King Gizzard & The Lizard Wizard I’M IN YOUR MIND FUZZ

2014 - Castle Face Records
[Uscita: 11/11/2014]

Australia

king gizzard coverI tre colpi di bacchetta che aprono I’m In Your Mind, opening track di "I’m In Your Mind Fuzz" quarto disco dello sgangherato settetto australiano  e seconda uscita dell’anno corrente, appaiono sintomatici di una componente essenziale di quest’ultima fatica della band di Melbourne: i ritmi ossessivi di due batterie acustiche lanciate a rotta di collo verso una nuova concezione del revival garage, dal taglio decisamente kraut. Per questo, I’m In Your Mind Fuzz è un disco dalla difficile interpretazione, dove dentro si trova di tutto e spesso il rovistare non è proprio semplice. Lontani ormai dagli esordi di "12 Bar Bruise" dove la carica garage – punk trascinava i nostri in ruvidi singoli da memorabili sing-along, in lunghe jam (Float Along-Fill Your Lungs) e stranezze cacofoniche (Oddments), I’m In Your Mind Fuzz vorrebbe essere il cosiddetto sophomore record in cui si dia prova di maturità riuscendo a coniugare in una decina di canzoni tutte le sfaccettature che le precedenti uscite avevano mostrato, applicando inoltre le ritmiche dritte e le derive kraut di cui l’indie anglosassone ultimamente sembra nutrirsi (Mazes, Hokworms).

 

Il risultato è un disco che soffre dei cambi repentini delle atmosfere e che non si adegua ancora ad un suono coeso ed omogeneo, che paradossalmente appare ripetitivo, canzone dopo canzone. I colpi di genio tuttavia non mancano: le batterie che non mollano king-gizzardun attimo nel poker d’apertura I’m In Your Mind, I’m Not In Your Mind, passando per il singolo Cellophane per riprendere il tema in I’m In Your Mind Fuzz, avendo la sensazione di ascoltare un'unica jam kraut punk, illuminata da esplosioni di fuzz e assoli wah mentre la melodia sixties da ultimo Ty Segall scorre via. Le derive cosmiche e garage si intrecciano di nuovo nella lunga Am I Inking Heaven, alternate a momenti da folk britannico più strafatto. Slow Jam 1  introduce un mood più rilassato e lisergico, con il suo groove notturno colorato da colate di chitarre elettriche e synth, Satan Speeds Up nonostante il riff minaccioso si scioglie in una melodia liquida degna del Lou Reed più ruffiano nei Velvet Underground senza Cale. La conclusiva Her & I (Slow Jam II) imbastisce un’improbabile suite psych-pop. L’eccessivo eclettismo adottato nelle canzoni sciupa la completezza che l’album vorrebbe dimostrare riducendola a mero citazionismo, in un incontro tra tre decadi di musica che in alcuni momenti rasenta il kitsch. Riprovateci.

Voto: 6/10
Ruben Gavilli

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