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24 Febbraio 2017 , ,

Aseethe HOPES OF FAILURE

2017 - Thrill Jockey
[Uscita: 24/02/2017]

Stati Uniti

 

Se esistesse un ponderometro per valutare l’ingombro musicale prodotto da un suono o da un insieme di suoni di sicuro gli Aseethe da Iowa City, Usa, raggiungerebbero i livelli più alti attingibili da umane creature. Se a ciò aggiungiamo che Aseethe è il nome dietro al quale si nascondono solo tre musicisti piuttosto inclini a una certa cupezza dei modi il tutto ha dello straordinario. Non si tratta ovviamente della pura misura della potenza espressa abitualmente in Watt, ma di una certa pesante postura dello spirito che riverbera nella incessante scansione di ogni intenzione musicale, più che di ogni nota effettivamente articolata.  È questa inesorabilità a caratterizzare al fondo i quattro interminabili brani intenti a splittare i 42 minuti totali di cui consta questo “Hopes of failure” ultimo lavoro degli Aseethe e di cui è qui questione.

 

Negli undici minuti abbondanti di Sever the Head, solo per restare in tema, a sorprendere non è tanto la preoccupante gravità con la quale i diffusori eruttano la quantità di materia sonora quanto la ampollosa rotondità di ogni singola emissione. Per questa ragione ci sentiamo liberi di affermare che quello degli Aseethe è uno dei lavori più radicalmente doom degli ultimi anni, un lavoro costruito su lentezze esasperanti e pattern bradicardici avvolti in una serie infinita. Non manca tuttavia un certo riverberare delle migliori prove degli ultimi anni, penso soprattutto agli Yob, ben distinguibili nella costruzione melodica di Tower of Dust la quale non lascerà delusi gli appassionati del genere per la qualità e la quantità di colpi al cuore che i fill di batteria ci regalano tra una battuta e l’altra. Più attenta invece a quanto proviene, ed è provenuta negli ultimi trent’anni, da ogni latitudine della Scandinavia è la successiva Barren Soil, a ben vedere un inno alla solenne staticità di un tempo rappreso e coagulato all’interno di strutture geometriche e umbratili. Ciò che lascia perplessi, qui come altrove, in “Hopes of Failure” è l’uso disinvolto da parte del buon Brian Barr di un growl poco convincente sempre sul punto di cedere alle lusinghe di uno scream governato con molta fatica. Più vicina a una sensibilità post-rock che pesca a piene mani in una certa produzione degli Slint, si affaccia la conclusiva Into the Sun nella quale si coagulano tutti i pregi e i difetti di questo lavoro, vale a dire la sensazione che le singole idee si tengano insieme in virtù di un rammendo sonoro naif e al contempo una grande freschezza dei temi proposti che tuttavia non riescono a trovare una sintesi efficace; una sintesi che, nelle intenzioni fin troppo evidenti della band, la chiusa decisamente drone avrebbe dovuto assicurare.
Il lavoro nella sua interezza rimane tuttavia di buon livello e addirittura una ghiottoneria per i palati più inclini al retrogusto decadente.

Voto: 6,5/10
Luca Gori

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