Migliora leggibilitàStampa
20 Marzo 2013 , ,

Matt Bianco HIDEAWAY

2013 - Earmusic/Edel
[Uscita: 8/03/2013]

Matt Bianco “Hideaway” (2013Alzi la mano chi ha visto la commedia romantica “Scrivimi una canzone”: nel film Hugh Grant interpretava l’ex-frontman di una boy-band “new romantic” degli anni ’80 che per tutta la vita cerca un riscatto artistico ritrovandosi, ormai imbolsito e con problemi di sciatica, a esibirsi per pochi manipoli di arrapate babbione in piccole sagre di paese. Questo deve essere stato il destino che ha accompagnato anche band come A-ha e Alphaville, che in tutti questi anni non hanno mai interrotto la propria produzione discografica, pur tra una certa indifferenza generale. In quel periodo andavano per la maggiore anche i Matt Bianco (si chiamavano proprio così, anche se molti pensavano che questo fosse il nome del leader), e sicuramente chi tra i lettori di Distorsioni ha passato i 40 ricorderà parecchi singoli di questa band: Whose side are you on, More than I can bear, Sneaking out the backdoor, Don’t blame it on that girl, per citare le più famose. Come era molto in voga all’epoca, i Matt Bianco erano un duo totalmente elettronico, ma non cercavano certo le sonorità aspre dei Soft Cell, tanto per fare un esempio: il cantante Mark Reilly e il tastierista Danny White, sostituito subito dopo il primo album da Mark Fisher, si rifacevano a situazioni jazzate, a ritmi latini e ad atmosfere retrò da commedia con Audrey Hepburn. Scoprendo attraverso questo disco che Reilly e Fisher non hanno mai cessato di esistere come duo e che hanno sfornato dischi su dischi negli anni, ritroviamo grossomodo le stesse atmosfere, ma con tanti punti in meno.

 

Hanno perso per strada l’inconfondibile seconda cantante di origine polacca Basja Trzetrzelewska, che nel frattempo ha fatto carriera nel jazz (quello vero!), qui sostituita da tante anonime coriste da jingle pubblicitario, mentre quei suoni gommosi e plastificati che all’epoca sembravano una vera rivoluzione tecnologica e oggi suscitano tenerezza, ma al tempo stesso diventano un inconfondibile “segno dei tempi” e fanno scuola, sono stati nel frattempo sostituiti dalle poderose risorse delle perfette e levigate tastiere di oggi, ben più anonime e prive di personalità. Ad aggravare definitivamente questa “musica-per-ascensori-che-ti-portano-al-bar-in-cima-al-resort-con-vista-sulle-palme” ci si mette una ritmica iper-satura che strizza l’occhio a una certa house-music anni ’90 ormai datata. In tutta la tracklist si salva solo, per gusto catchy e orecchiabilità, You’ll never know. Si salva, ma di poco. Dovendo dare i voti: 4 agli arrangiamenti (ma 9 alla limpidissima e perfetta produzione!) e 6 a una vena compositiva che negli anni si è inevitabilmente prosciugata. La media tra 4 e 6 farebbe 5, d’accordo, ma si può stiracchiare fino al 6 in memoria di ciò che questa band ha rappresentato 30 anni fa, ormai.

Voto: 6/10
Alberto Sgarlato
Inizio pagina