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15 Luglio 2015

The Cribs FOR ALL MY SISTERS

2015 - Sonic Blew-Sony RED
[Uscita: 23/03/2015]

Inghilterra

 

The Cribs – For All My Sisters (2015) @320Il debutto omonimo del quartetto di Wakefield, Surrey, risale al 2004, mentre la penultima uscita, “The Belly Of The Brazen Bull” è datata 2012. Considerando l’attuale iper produzione del mercato discografico costellata da fenomeni usa e getta, le teorie di blog musicali sui quali le informazioni si rincorrono, fino a divorarsi una con l'altra, alla continua ricerca della next big thing, undici anni di carriera sono percepiti come un'era geologica. Un periodo talmente lungo da nascondere insidie di inaridimento di ispirazione, conseguente smarrimento e logoramento delle modalità della sua rappresentazione artistica. I Cribs ci hanno abituato a sonorità indie di stampo british duemila, con riferimenti Libertines ed Artic Monkey, ma per realizzare questo disco, al pari dei Monkeys, hanno sentito l'esigenza di recarsi negli Stati Uniti. Si son rinchiusi negli studi Magic Shop di New York, alla regia dall'ex front man dei Cars Ric Ocasek ed hanno realizzato un disco farcito di canzoncine indie-pop di facile ascolto, arrangiamenti banali ed appiattimento generale di un suono privo di personalità. Ocasek è produttore capace che, anche se ha lavorato con Suicide, Alan Vega, Guided By Voices e Bad Brains, è generalmente identificato con il “Blue Album” dei Weezer e proprio quel geek rock, con i ritmi 6/8, le voci a volte strozzate ed altre urlate nei cori, i ritornelli facilmente memorizzabili, ricamati con urla in falsetto, il suono catchy e trasandato, le canzoni midtempo, costituisce la caratteristica di base del lavoro. 

 

Se negli Artic Monkey il ricorso all'esperienza americana ha assunto la caratteristica di scambio culturale, quasi un osmotico "lavare i panni in Arno", con il combo di Newcastle perfettamente calato nel deserto californiano, qui l'impressione è quella di un espediente, alla ricerca di una sorta di maquillage formale per un suono immutato negli anni e che, decontestualizzato dall'atmosfera di esaltazione collettiva, tipica dei settimanali inglesi, cribs1mostra i propri limiti e come non abbia retto il passare del tempo. Pur se in certi momenti riecheggia il suono sporco, allegro e vagamente sgangherato connesso ad una certa energia catartica, è necessario ammettere che le atmosfere sono in genere distanti da quelle dell'album “Be Safe” realizzato sotto l'egida del Sonic Youth Lee Ranaldo nel 2007, macchiato di sperimentazione e probabilmente apice della loro discografia. L'incantesimo dei fratellini Jarman, scoperti dall'etichetta Wichita, è svanito e danno ora alle stampe il loro disco più pop nel senso bieco del termine, tentando di trattenere un successo che sembra fuggire come granelli di sabbia dal palmo della mano. Obiettivo mainstream, quindi, tanto che gli stessi Cribs hanno sentito l'esigenza, proprio mentre lo stavano realizzando, di scrivere altre canzoni con sapori garage punkey da registrare, entro la fine dell'anno, con Steve Albini, quasi a volere annullare il patto col diavolo delle vendite, un tentativo di purificazione che, se si considera che il precedente lavoro con Albini assomiglia molto a questo, sembra destinato al fallimento. 

 

Troppi anni son passati e non è più tempo di copertine e posizione nella parte alta dei tabelloni dei festival all'aperto. In Burning for No One, i versi “Dancing on the screen / I still see you as the star power you used to have / I still watch you through my hands” sembrano evocare, se non esorcizzare, la rottura di Ryan Jarman con Kate Nash, mutuando un sottofondo new wave irritante di impronta scontata. In Different Angle si assiste ad un'audace cavalcata di chitarra e caos spettrale di sottofondo, mentre vecchi cribsstilemi pop punk vengono ancora stancamente riproposti in City Storms, Summer Of Chances e Diamond Girl con suoni di chitarra che sembrano rubati a Manic Street Preachers. Simple Story sembra salvarsi dal naufragio, coi suoi toni da ballata emo con riferimenti a teen drama televisivi, ma purtroppo è un plagio dello Springsteen, periodo “Born in the U.S.A.”. Pink Snow tenta la rincorsa a toni epici, ma si sgonfia con la chitarra stanca in un crescendo di distorsore già ascoltato in centinaia di american alternative band. Come recita Turn Turn Turn dei Byrds, esiste una stagione per ogni cosa. La stanca riproposizione di un suono giovanilistico, da parte di persone che hanno abbondantemente superato i trenta, non ha senso e in questo caso i Cribs creano un involucro vuoto, privo di quel sentimento e quella forza che dovrebbero esistere al suo interno, ma che si sono affievoliti, se non persi, con il trascorrere degli anni.

 

Voto: 4/10
Francesco Belli

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