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5 Settembre 2020 ,

Ulver Flowers Of Evil

2020 - House Of Mythology
[Uscita: 28/08/2020]

L'inquietante frame della tosatura del cranio di Jeanne d'Arc tratto dal cult anni '20 di Carl Theodor Dreyer ci colpisce da subito osservando il supporto fisico di “Flowers Of Evil”, l'ultimo lavoro dei norvegesi Ulver che prosegue ed estremizza – ovviamente a modo loro – lo stile consolidato con il capolavoro del 2017 "The Assassination Of Julius Caesar”. “Estremizzare” è un concetto da sempre parte del DNA dell'eclettica band capitanata da Kristoffer Rygg, che dalla prima metà degli anni '90 ha infranto i limiti del Black Metal più ruvido e ancestrale per abbracciare distorte melodie fra sonorità industrial e techno attraverso arditi concept letterari, colonne sonore e live album orchestrali che hanno reso questa band una delle più sublimi anomalie avanguardistiche nel contesto musicale contemporaneo. Proprio per questo restiamo spiazzati fin dal primo ascolto di “Flowers Of Evil”, disco essenzialmente incentrato su sonorità squisitamente synth-pop figlie degli anni '80 – quelle di Depeche Mode, Erasure e New Order della prima ora - e di quel freddo rigore che ormai da qualche decennio caratterizza l'elettronica scandinava (Seigmen, Zeromancer, Trentemøller e Arcturus): gli otto brani scorrono nello stereo che è un piacere, e in ognuno di essi è facile intravedere un certo appeal radiofonico. Un cambio di direzione radicale, dunque? No, affatto: “Flowers Of Evil” è un album essenzialmente definito da un'oscura ricchezza di sonorità e tematiche, che lavora al suo meglio grazie al contrasto fra melodia gradevole e tematiche cupe e perturbanti. Rygg e compagni, aiutati da un'illustre pletora di ospiti fra i quali spiccano i sempre geniali Christian Fennesz e Stian Westerhus, hanno dato vita ad un'opera figlia dello sconfortante Zeitgeist degli anni 2000 e dell'apparentemente ineluttabile declino della civiltà occidentale. Gli Ulver tuttavia non ci consegnano un lavoro rassegnato: “Flowers Of Evil” è un atto di bellezza che nasce da un intento di ribellione al nichilismo disfattista e all'attuale perdita del senso storico. Curatissimo fin dal raffinato artwork, un elegante booklet bianco che raccoglie testi, credits ed alcune foto simboliche stampate su carta di alta qualità, il disco è un esempio di raffinata estetica visiva ed acustica. Gli Ulver traggono ispirazione da memorie del passato di eventi tragici come la bomba atomica e la strage di Waco (Little Boy e Apocalypse 1993), storie successive al crollo del muro di Berlino (Russian Doll), atmosfere da romanticismo decadente e richiami alla natura e all'immaginario più genuinamente folk (Nostalgia e A Thousand Cuts): le affascinanti melodie elettroniche, inframezzate dalla sferzante chitarra di Westerhus, si sposano alla perfezione con la sublime e decadente voce di Kristoffer Rygg, dotata di un'ineguagliabile espressività narrativa e bellezza crepuscolare. È un mondo in cui solo il male sembra fiorire, eppure la bellezza sembra ancora possibile e vi è ancora speranza fintantoché alla notte farà seguito la luce del giorno. Attraverso le dinamiche degli opposti, gli Ulver con questo album compiono un concreto atto di ribellione estetica tanto nei confronti degli stilemi pop, quanto verso quelli più avanguardistici e sperimentali. In esso troviamo un equilibrio rivoluzionario in cui un approccio solo apparentemente easy-listening, in cui le melodie sono sorrette da loop ed orchestrazioni raffinate e suggestive; accompagnata alla profondità di tematiche e concetti espressa dai testi, la musica della band norvegese assume un'inattesa valenza illuminante. Flowers Of Evil è certamente uno degli album da ricordare in questo 2020: la qualità di tutti i suoi brani è figlia del coraggio e della coerenza di una band che, lungo il proprio percorso artistico, ha sempre saputo stupire e rinnovarsi, rifuggendo cliché e schemi fissi nel nome di un'identità sfuggente che fa degli Ulver dei maestri ineguagliati nel panorama contemporaneo.

Voto: 8/10
Fabio Rezzola

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