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25 Luglio 2017 , ,

Vallenfyre FEAR WHOSE WHO FEAR HIM

2017 - Century Media
[Uscita: 02/06/2017]

Inghilterra   

 

Vallenfyre-Fear-Those-Who-Fear-Him

Terzo album in sei anni per i Vallenfyre, supergruppo nato dall’incontro del chitarrista Gregor Mackintosh (Paradise Lost, foto sotto a sinistra) con Hamish Glencross (ex My Dying Bride). La band di Halifax si è formata nel 2010 su iniziativa di Mackintosh dopo la morte del padre, per tributarne la memoria e incanalare in qualche modo la sofferenza dovuta alla perdita. Se il primo album “A Fragile King” (2011) si incentrava sulla fragilità dell’esistenza e sul sentimento misto di dolore e rabbia legato al lutto, il successivo “Splinters” (2014) si apriva a tematiche sociali, con una accentuazione nell’aggressività del suono. “Fear Those Who Fear Him” prosegue in una direzione ancora più sporca e brutale, con la rinuncia a qualsiasi parentesi melodica e a favore di un grindcore ancora più feroce. Il tema dell’album gira intorno alle forme di imbarbarimento della società, causate dall’ignoranza e dall’egoismo, che trovano ragione d’essere nei sentimenti primordiali della natura umana, spesso legati a credenze religiose. Non bisogna aver paura di dio e del suo negativo (Lucifero), sostiene Gregor Mackintosh, ma di coloro che li temono e che dietro forme semplificate di credenza, fomentano odio e miseria. C’è sempre l’uomo dietro al male.

 

La copertina dell’album mostra un teschio in putrefazione che restituisce l’immagine di un mondo marcio e in disfacimento. «Twelve songs. No samples. No Triggers. No Bullshit», aggiunge Mackintosh per rafforzare ulteriormente il messaggio. Born To Decay evoca immediatamente un mondo in costante decomposizione. Fanno seguito il grindcore annichilente di Messiah e le influenze swedish di Degeneration. Il doom fa la comparsa in tutto il suo splendore in An Apathetic Grave, che racconta Vallenfyrela disillusione di un ragazzo che raggiungendo la fine della propria esistenza riflette sull’inutilità della vita. La chitarra di Mackintosh ci ricorda i passaggi dei Paradise Lost di “Shades Of God” (1992). Ma non si fa neppure in tempo a recuperare fiato che il grind thrash di Nihilist e l’hardcore punk di Kill All Your Masters ci riportano nei territori di un annichilimento feroce. The Merciless Tide sviluppa una marea interminabile di dolore e sofferenza, mentre la rabbia trova ancora sfogo in Dead World Breathes e in forme più death nella successiva Soldier Of Christ. E’ tuttavia l’anima doom a fornire sempre le risposte più ispirate come in Cursed From The Womb, in una versione funerea e senza speranza. La conclusiva Temple Of Rats completa un album di buon valore. 

 

Voto: 6.5/10
Felice Marotta

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