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6 Aprile 2018 , ,

BCUC EMAKHOSINI

2018 - Buda Musique
[Uscita: 18/03/2018]

Sudafrica      #consigliatodadistorsioni

 

Quel che rende così vitale e coinvolgente la musica che ci arriva dal continente africano, oltre alle indubbie e straordinarie capacità musicali, è il legame profondo che la musica e i musicisti hanno con le loro comunità, con la vita del popolo, è musica che trae linfa e ispirazione dalla realtà quotidiana. Non fanno eccezione i sudafricani BCUC, acronimo che sta per Bantu Continua Uhuru Consciousness, giunti con "Emakhosini" al loro secondo lavoro dopo il debutto del 2016 con “Our Nation”.

«Musica per le persone da parte delle persone con le persone», così definiscono la loro musica i sette membri di questo collettivo nato a Soweto a due passi dalla chiesa dove negli anni dell'apartheid Desmond Tutu organizzava la fuga degli attivisti ricercati dalla polizia. E nulla nasce per caso nell'attività di BCUC a partire dal desiderio di dar voce agli strati più emarginati della società sudafricana, la gran massa dei lavoratori non istruiti, e di legarne il riscatto alla salvaguardia e protezione della ricca tradizione culturale degli antenati e della musica che essa ha espresso nel tempo.

 

Tre soli brani, ma il primo e il secondo durano rispettivamente 20 e 16 minuti, mentre il terzo rientra nei canonici tre minuti; si iniza con Moya, il brano si apre con le percussioni e i tradizionali canti corali, ma subito intervengono a rompere l'atmosfera le voci maschili improntate a uno stle apparentabile con il rap, ma con un timbro roco e selvaggio che trasuda rabbia e ci trasporta dalle iniziali atmosfere da villaggio, da savana alle turbolente e affollate metropoli; da lì in poi è tutto un crescendo in cui il contrasto fra la voce feimminile carica di forza emotiva e armoniosa, dovuta a Kgomotso Mokone unica donna del gruppo, si scontra con le fuggenti e feroci intromissioni delle voci maschili, impegnate in un'originale versione afro dell'hip hop, fino a un fulminante finale dove percussioni, linee potenti di basso e voci si intrecciano ed esplodono. Isimbi inizia con addirittura una voce femminile molto ispirata e lirica, ma ben presto è la furia dei ritmi tribali, delle urla e dei rapper a prendere il sopravvento, mentre il basso disegna linee funky e percussioni e batteria dettano tempi travolgenti, ancor più che nel brano iniziale qui i BCUC sono abilissimi nel cambiare continuamente il ritmo e l'atmosfera, momenti di relax si sostiuiscono a improvvise sfuriate rap, per poi passare a canti tribali e alle tipiche melodie che abbiamo conosciuto attraverso Miriam Makeba o i musicisti che hanno collaborato nel celebre “Graceland” di Paul Simon, fino all'intervento sorprendente di bizzarri fiati nel finale. Chiude il tradizionale gospel Nobody Knows the Trouble I’ve Seen, qui trasformato dalle rutilanti percussioni e dal rap.

bcfoI BCUC mescolano infatti con originalità le musiche tradizionali di Soweto, con influenze occidentali, in particolari della cultura hip hop, e con quella delle band congotronics come Konono n°1 e Mbongwana Star. Il risultato è un album davvero esplosivo, ricco di energia e di idee, ascoltandolo sembra davvero di sentire il suono aspro e corrosivo degli slum e al contempo il vitalismo e la ribellione delle grandi masse giovanili nere sudafricane pr le quali la fine dell'apartheid non ha visto un reale miglioramento delle condizioni di vita. La musica sudafricana ritorna con i BCUC prepotentemente alla ribalta, dopo un periodo di appannamento.

Voto: 8/10
Ignazio Gulotta

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