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30 Novembre 2017 , ,

Enslaved E

2017 - Nuclear Blast
[Uscita: 13/10/2017]

Norvegia

 

La longevità non è meritoria di per sé; altrimenti vale se questa è il tratto lussureggiante di una produzione formidabile come quella dei norvegesi Enslaved. Valore aggiunto verrebbe da dire con una formula trita valida per ogni soggetto e latitudine, se non che questo nuovo “E” non produce letteralmente alcuna eccedenza rispetto ai quindici lavori precedenti degli ottimi sodali Grutle Kjellson e Ivar Bjørnson. Al contrario è questo ultimo nuovo lavoro che si avviluppa intorno ad una andatura compositiva eccedente, sbilanciata e imperfetta. Qualcuno dava a questa virtualità sempre sul punto di precipitare in qualche traccia sonora il nome di stile. Per questa ragione “E” sembra nascere dal precedente “In Times”, ma come un figlio degenere che rifiuta ogni eredità; questa genealogia della distanza è l’apporto principale che rende gli Enslaved uno dei pochi, veri ensemble progressivi della scena contemporanea. E non si parla qui degli omaggi dichiarati alla scena progressiva seventies di "Axis of the Worlds" ma di una attitudine alla filiazione bastarda.

 

Il Black Metal non è stato mai così limpido nella definizione di un campo di esistenza autonomo, finalmente svincolato da ogni esoterico fondo di magazzino, lontano anni luce da quella infantile malattia che affligge altri rustici ragazzotti del nord Europa. La raffinata imperfezione di Hiindsiight, accesa dalle sferzate di un sax oscenamente – in senso proprio – anni ottanta sferrate da un incontenibile, emozionante Kjetil Møster, hanno enslaved-5dell’inaudito; dichiarata la contiguità con la ricerca sviluppata dai Reflections in Cosmo e la traslazione di quell’impianto a latitudini meno speculative. Il tutto impreziosito dalle screziature folk del polistrumentista dei Wardruna, Einar Kvitrafn Selvik. È vero che sin da subito con l’introduttiva Storm Son anche l’ascoltatore meno scaltro sarebbe entrato in uno stato di vigile agitazione da insondabili atmosfere gotiche e da un'attitudine che ricorda i Tiamat Fin de Siècle impastati per circa dieci minuti da un buon collante progressivo; ma niente lasciava presagire la perla straniante di “What Else Is There”, il celebre esercizio di rarefazione spazio-temporale dei Röyksopp, che nelle loro mani acquista una speciale solidità senza perdere nulla della originale eleganza liquida.

 

Merito soprattutto della discrezione accorta di Håkon Vinje alle tastiere e alla voce pulita, a sostituire Herbrand Larsen del quale non si arriva quasi mai a percepire la mancanza; gli arrangiamenti sono possenti e la levità è quasi tutta sostenuta dalla dinamica degli attacchi e dal contrappunto voce clean/growl in alcuni fraseggi capace di imporre un flutto sensuale prodigioso. Peccato per il resto dell’album che non riesce a reggere il livello ultraterreno di ciò sin qui descritto accreditandosi come una buona produzione di genere sostenuta da standard qualitativi piuttosto elevati. Standard ai quali, c’è da dire, non siamo più molto abituati, almeno sotto il segno della chitarra distorta e della voce rauca, e che, fosse anche solo per questa ragione, lasciano satolli.  Ma quando il sole è basso anche i nani sembrano giganti, diceva qualcuno.

Voto: 7,5/10
Luca Gori

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