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MU Twelve More Scenes Of MU

2019 - Folderol
[Uscita: 14/10/2019]

I MU sono un duo di musicisti, Adriano Lanzi alla chitarra e Federica Vecchio al violoncello, che partono dalla strumentazione classica per arrivare a un'interazione o meglio a un intreccio che avanza in una specie di danza cinematica, fondendosi, disperdendosi e decostruendosi, aggrovigliandosi in progressioni irregolari, contorte e cariche di pathos. È una simbiosi che viene trovata esplorandosi, ghermendosi, come partendo da una esitazione e da una diffidenza tensiva che, attraverso passaggi e stratificazioni, si allenta e si ammorbidisce. Nell'intelaiatura sonora entrano poi interferenze esterne che amplificano ed esaltano le traiettorie dei due strumenti principali. Piccoli tocchi di elettronica, rumori, battiti percussivi, onomatopee e soffi vocali. MU è un leggendario continente sommerso sprofondato in un ignoto punto dell'Oceano Pacifico in tempi remoti. Per i monaci zen indica il vuoto, la sospensione. Il grande regista giapponese Yasujirō Ozu ha voluto solo questo simbolo inciso sulla sua lapide e questo non sembra affatto essere casuale. Nei suoi film apparentemente scarni e minimali si riesce a scorgere una panoramica dell'oltre. Un messaggio inconscio che apre ad un interrogativo esistenziale in ogni inquadratura, in ogni attitudine dei personaggi e soprattutto nella gestualità, nella mimica espressiva. In quel vuoto, in quei silenzi, in quel galleggiamento pneumatico si ravvisa l'essenza più alta dell'umanesimo e la profondità più nobile dell'essere nella sua fragilità e nel suo smarrimento. L'uomo proteso verso l'infinito, l'uomo che lo scruta e intuisce, anche se tutto viene disperso in una vacuità indefinita. Dopo l'esordio del 2016 (Of Strings And Bridges, SLAM) arriva questo sorprendente "Twelve More Scenes Of Mu", di una limpidezza e di una armonia cristalline, dove l'improvvisazione e gli idiomi policromi si strutturano in una fluidità e in una levità melodica frutto di un ascolto e di una complicità che non viene mai meno in tutta la narrativa visiva e visionaria dell'album, negli undici frame eterodossi che di volta in volta ci conducono dentro una diversa scenografia. Økapi collabora in The Trouble With Tragedy Is The Fuss It Makes attraverso l’inserimento di effetti elettronici come pulsazioni che si innestano nel gioco di rimandi chitarra - cello e l’effetto finale è quello di increspare e tendere l’andamento sonoro fino a liquefarlo. Geoff Leigh (ex membro Henry Cow) non presta solo il suo meraviglioso flauto ma anche il suo tocco di inconfondibile eclettismo trascendente nell’onirica Lenz. Dwellers Of Paradise è come un risveglio sensoriale e il Maestro Lino Capra Vaccina attiva la magia con i suoi tocchi percussivi al vibrafono, gong e cimbali. Ancora il timbro amplificato del basso elettrico di Amy Denio a intensificare l’espressività di Lofoforo Splendido e la voce che non dice di Giovanna Izzo in Logogrammi, con il suo incedere aleatorio. Dalla partenza in cui tutto è scindibile e perfettamente autonomo e distinguibile fino all’amalgama della materia acustica. Una simbiosi che non avviene in modo pensato ma attraverso un principio organizzatore autonomo, che si compie nel divenire. Una plasticità visibile e tattile che arriva nel finale a diventare rappresentazione scenica di quel nulla che racchiude il tutto. Di quel no che non dice no. Di quell’impercettibile che Giacinto Scelsi, fedele alla filosofia orientale, ricercava nell’armonico, nel microtono, nella dispersione timbrica persa e dissolta nell’etere e che celava tutte le tonalità e i colori dell’universo.

Voto: 7.5/10
Romina Baldoni

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