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8 Aprile 2017

Le Luci della Centrale Elettrica TERRA

2017 - La Tempesta Dischi
[Uscita: 3/03/2017]

Vasco Brondi, la star dell’anti-star-system italiano, a tre anni di distanza dal precedente “Costellazioni”, album complicato e complesso, complica invece la vita a noi, ascoltatori del nuovo lavoro per chitarra e idee confuse dal titolo “Terra”. Sin dal primo ascolto del primo brano in apertura, A Forma di Fulmine, ritroviamo tutti gli elementi canonici del Brondi-style, vale a dire schitarrate tristi, malinconie vocali alla rinfusa e l’uso del cut-up estremo nella costruzione dei testi. Ciò che allo stesso modo appare chiaro è che però qui tutto quello che fino a ieri andava a ruba ora non funziona più, e questo non ha niente a che fare con la stanchezza della reiterazione oppure con le rime di terza mano alle quali spesso il verso si espone tra squilibri metrici e fortissimi passaggi a vuoto; che il costrutto brondiano non funzioni più ha a che fare più che con lui con noi, con la nostra impossibilità di rileggerci tra i suoi sconclusionati cut-up a disegnare icasticamente un mondo che la generazione post-Genova 2001 aveva immediatamente davanti a sé e immediatamente dentro di sé, un mondo che non poteva che essere detto brondianamente. Il che comporta ovviamente tutta quella serie di imbarazzanti scempietà, ingenuità e maledettismi a costo zero che ci hanno fatto amare Le Luci della Centrale Elettrica come l’unica grande proposta pop italiana degli ultimi 10 anni e che qui appaiono solo, nel migliore dei casi, ottime intuizioni linguistiche. Nel peggiore musica derivativa di pessima qualità.

 

brondiSi prenda a tal proposito in esame Qui, il brano forse più à la Brondi dell’intero disco, in cui sono presenti sintagmi da rappresaglia del tipo «è un superpotere essere vulnerabili» capaci di esaltare una mistura oscura di panteismo da brunch domenicale consumato nel circolo Arci più vicino seduti tra la collezione completa “Urania” 1984 e l’enciclopedia per ragazzi “I quindici”. «Io sono nei detriti spaziali[…]/ Sono negli alberi monumentali[…] Sono pericoloso io che ti rassicuro/ E hai visto all'improvviso è arrivato il futuro», nel testo. Per il resto da una parte il cut-up schizofrenico degli esordi si depotenzia in povere fantasie di terza mano, con l’aggravante che l’originale è Brondi stesso; dall’altra il punk emiliano è tutto in una cassa dritta a indicare la via a un latin con intarsi di variazioni in scala Hijaz. Nulla possono contro tutto ciò gli arrangiamenti e l’ottimo Federico Dragogna al mixer. Nulla possono le rimembranze combat di Nel Profondo Veneto o urban folk di Iperconnessi oppure le irresistibili intuizioni di ambito scientifico contenute nella pregevole Coprifuoco: «Su questo pianeta chiamato Terra/Anche se come noi/È quasi soltanto acqua».

 

E con il Waltz degli Scafisti, a raccontare di immigrazione, e Chakra, a raccontare di affetti, l’irritazione per i detto/non detto insignificante raggiunge livelli tali che verrebbe voglia di mandarglieli sotto casa gli appassionati Piromani che tanto abbiamo amato. Basti dire che risorge magicamente dal cilindro del nulla il mantra dei «viaggi interstellari» e dello spoken word a sottolineare i passaggi più toccanti. Un disco tanto maturo da risultare quasi incommestibile, e in modo del tutto naturale, perché prima o poi anche la meno propinqua bronditra le spiagge deturpate passerà sotto la scure dei progetti urbani di riqualificazione. E così scopriamo che a essere deturpata non era la spiaggia, ma il corpo che la traversava e che si modifica del suo stesso percorso. Ma allora si scopre che il cantautore ferrarese Brondi non ha né la qualità tecnica, né il timbro vocale del grande artista e che quelle atrocità e quella melopea tanto apprezzate erano solo l’effetto del vento. E che senza l’uno viene a mancare anche l’altro. Il guaio è che non si può tornare indietro. Brondi, su questo non vi è dubbio e Terra è qui a dimostrarlo, ha l’intelligenza e il buon gusto per capirlo e per deprecare la replica. Altro guaio è che il pop malinconico non si addice alla Luce della Centrale Elettrica e che le contorsioni della nuova creatura deformano ancora un involucro che non cede agli spasmi. La provincia non è ancora l’ombelico del mondo.

Voto: 5/10
Luca Gori

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