Migliora leggibilitàStampa
11 Febbraio 2018 ,

Neko At Stella SHINE

2017 - Dischi Soviet Studio
[Uscita: 24/11/2017]

#consigliatodadistorsioni

 

Quell’incrocio in cui Robert Johnson incontrò il diavolo con il quale barattò la propria anima in cambio della sapienza del blues, rappresenta una genesi in forma apocrifa della musica e della sua tradizione. Tutto è già fatalmente scritto in White, brano di apertura di “Shine” dei Neko At Stella, un déjà vu le cui vibrazioni riportano a quell’Eden ancestrale in cui l’uomo ha rotto il patto con Dio, appropriandosi della conoscenza del bene e del male attraverso il blues come idioma di liberazione. A quattro anni dall’album di esordio, il trio fiorentino dà alle stampe per Dischi Soviet Studio un lavoro di grande coesione, ispirato da una visione musicale le cui radici si nutrono del calore del sole di Palm Desert, grazie a cui sviluppano un tegumento stoner, e si abbeverano all’acqua delle pozze lisergiche di Austin da cui traggono linfa psichedelica. Con un nuovo assetto a tre, Glauco Boato, Jacopo Massangioli e Roberto Pecorale hanno trovato una quadratura perfetta, muovendosi sulla linea di un equilibrio solido e sul sottile crinale di un alveo sonoro fortemente materico in quanto a ricerca di intensità.

 

A riprova di ciò si consideri che per le registrazioni (in presa diretta) dell’album la scelta è caduta sugli Oxygen Studios di Paride Lanciani, produttore formatosi alla scuola di Steve Albini, a cui si unisce l’impiego di strumentazioni unicamente analogiche, cosa che restituisce all’ascolto una percezione epidermica di spessore. Dopo lo slide della già citata White, magnifica introduzione a un viaggio in immaginarie lande desolate, con la successiva Soul Full of Dust il fuzz della chitarra colpisce allo stomaco, mentre con The Desert Comes il vento muove le insegne di una psichedelia vicina a The Black Angels con le vene piene del fluido lisergico dei 13th Floor Elevators. Devil to Pray ha un’anima decadente e nera come quella “Down on the Upside” dei Soundgarden, il corpo di Last Nite Boogie ha cicatrici southern le cui linee sembrano richiamare le fattezze dei Creedence Clearwater Revival. Put It Down e Victims sono dedicate alle vittime delle guerre moderne che falcidiano innocenti di cui non sapremo mai il nome e la cui tomba è forse in Siria o nelle profondità del Mediterraneo. In chiusura Shine è come un buco nero che ti risucchia all’interno del suo oscuro campo gravitazionale, scuotendo i sensi con un’elettricità pari a quella che attraversa il corpo di un condannato alla sedia elettrica. “Shine” è una prova di caratura internazionale, segno che in Italia vi sono band che meriterebbero maggiore visibilità e fortuna rispetto ai soliti nomi che spesso sfornano dischi con il pilota automatico. Disco eccellente.


Voto: 8/10
Giuseppe Rapisarda

Audio

Video

Inizio pagina