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10 Giugno 2014 , ,

Anuseye ESSAY ON A DRUNKEN CLOUD

2014 - Vincebus Eruptum
[Uscita: 10/06/2014]

ANUSEYE_VELP005_cover_def# Consigliato da Distorsioni

 

Se ci dedicassimo solamente all’ascolto di questo “Essay On a Drunken Cloud” (che esce su Vincebus Eruptum, sigla di uno storico magazine heavy-psych cartaceo italiano,ed ora anche di una record label-promotion di Savona) e le sue nove tracce, trascurando ogni dato ulteriore, scommetteremmo che gli Anuseye provengano dall’afa californiana o, memori dell’ultimo lavoro dei Pontiak, da qualche fattoria sperduta nella Virginia. Saremmo certi poi che nel bagaglio stilistico ci sia, oltre alla bandiera a stelle e strisce, un’esperienza solida, ultra-decennale, di quella che ti incameri se sei nato nel bui degli anni ’90 e certi suoni soffocanti te li porti dietro, senza che la vena creativa si otturi, come successo a molti mostri del decennio in questione. Poi c’è la carta d’identità. Che ci dice che gli Anuseye non potrebbero essere più italiani, precisamente di Bari, e nello specifico Antonello Carrante dietro piatti e tamburi, Michele Valla al basso e alle chitarre Luca Stero e Claudio Colaianni (cantante e compositore principale). Poi anche che “Essay On a Drunken Cloud” è il secondo album firmato Anuseye, seppure metà formazione provenga da un’altra band barese, i That’s All Folks, attivi prima del millennio nuovo. 

 

Abbiamo detto dei suoni riconducibili alla tradizione prettamente statunitense, ed infatti i modelli stilistici più evidenti provengono proprio dall’altra parte dell’oceano. Prima di tutto la pesantezza delle chitarre richiama inconfondibilmente i Kyuss; gli elementi stoner e le anuseyeatmosfere opprimenti sono tipiche di band contemporanee che possono essere rappresentate dai Queens Of The Stone Age; poi ancora, nei riff più crudi ed energici, vigorosi e travolgenti è impossibile non sentire echi degli Stooges di “Funhouse”. Infine i già citati Pontiak, soprattutto nella loro versione più recente, quella di "Innocence", che miscela pesantezza e finezza, hard rock e psych alla Dead Meadow, senza disdegnare melodie blues come base. I nove brani qui raccolti, considerati nel loro complesso, possiedono una solidità granitica, invidiabile, frutto di idee lucide e precise. Il anuseyepunto debole di una simile composizione è, tuttavia, che vengono mescolati suoni più che mai derivativi e ciò comporta che quando la qualità della scrittura cala, la pasta sonora può diventare indigesta. Ma non è il caso di questo “Essay On A Drunken Cloud”, visto che nei quasi cinquanta minuti la pesantezza degli Anuseye non ha mai la meglio sull’ascoltatore. Tra episodi più freschi (Push Magic Button), soffocanti (Cursed Pills), cupi (Earthquake) e light (SS Abyss), il Saggio dà l’impressione di essere uno dei lavori nostrani più convincenti dell’anno. Consigliatissimo. 

 

Voto: 8/10
Simone Pilotti

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