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16 Novembre 2015 , ,

Francesco De Gregori AMORE E FURTO

2015 - Caravan-Sony Music
[Uscita: 30/10/2015]

#consigliatodadistorsioni    

 

cover-de-gregori-canta-bob-dylan-amore-e-furtoTraiettorie dylaniane Francesco De Gregori ne aveva già disegnate. Voli rasenti il confine dell’arte dylaniana potremmo definire Cercando un altro Egitto, col botta e risposta “Io domando chi, loro fanno cosa?” (il “Dio disse no, Abele rispose cosa?” di Highway 61 Revisited) e Buonanotte fiorellino, che ricordava Winterlude senza esserne affatto copia. In questo Bob Dylan ripensato in italiano da De Gregori manca la traduzione di It ain’t me babe ma cantando pochi anni fa “guarda che non sono io quello che stai cercando” l’autore era già stato lì, a modo suo, tra le pieghe del vecchio pezzo di Dylan. Una storia antica lega i due artisti.

Era un De Gregori  poco più che ventenne quello che tradusse con De Andrè Desolation row in Via della povertà. Di anni ne aveva quarantasei quando Non dirle che non è così ripropose If you see her, say hello da “Blood on the tracks” (era l’anno di “Rimmel”). Le due canzoni appaiono in questo nuovo “Amore e furto” lievemente rimodellate, l’una nel testo l’altra nell’esecuzione. Altri due recuperi dal passato sono Una serie di sogni (gli amici De Gregori e Locasciulli con le mani in Series of dreams) e Come il giorno (I shall be released), nata nei giorni del tour a quattro (con Ron, Pino Daniele e Mannoia) e infilata quasi in sordina in “Mix”.

 

Anch’esse vestono di nuovo: la prima De Gregori non l’aveva mai incisa in proprio; la seconda, che ricordiamo più robusta e blues, perde l’armonica. Attenzione: trademark di Dylan ma anche usatissimo da De Gregori (Caterina, da “Titanic”, è forse la più bella sintesi tra i due mondi), quello strumento qui non c’è, mai. Può sembrare un paradosso ma non lo è: riflette la misura che De Gregori ha messo in campo nel rivolgersi a un repertorio bello e ingombrante nonché da lui amatissimo.

deNiente armonica dunque, nessun pezzo troppo prevedibile, nessun arrangiamento azzardato. De Gregori, che ha dichiarato: “non ce n’era bisogno tanto sono belli gli originali”, asseconda il desiderio di cantare in libertà cose troppo amate per ribaltarle come spesso Dylan fa dal vivo. E allora, l’approccio più semplice e meno cervellotico di quanto potevamo aspettarci da lui: testi lavorati con una cura estrema (poche modifiche, mai a discapito del significato originale), arrangiamenti assai fedeli.

Un angioletto come te scorre esattamente come la traccia due di “Infidels”: sembra di ascoltare le chitarre di Mark Knopfler e Mick Taylor, invece sono i bravissimi Giovenchi e Bardi. Tradurre Dylan, gioco complicato. E’ De Gregori a renderlo facile e possibile. Quando in Servire qualcuno (Gotta serve somebody) allude a se stesso dandosi del Generale esattamente come Bob faceva nell’originale chiamandosi Zimmy, il lavoro diventa addirittura impeccabile.  Nemmeno in questo si è “allargato” di un centimetro, solo un distratto potrebbe pensarlo. 

 

Se Tweedle Dum & Tweedle Dee avanza briosa con l’incedere country-blues de Il bandito e il campione, il meglio arriva quando la macchina rallenta e Non è buio ancora (Not dark yet) ci avvolge con le stesse movenze che Daniel Lanois aveva donato all’originale. In nulla inferiore al pezzo che troneggiava su “Time out of mind”, la canzone vale il biglietto d’ingresso in questo teatro dell’ammirazione, in questa sala degli specchi che nulla deformano. Non deve essere stato facile scegliere questo repertorio, per questo pescare Dignity (La dignità) e Series of dreams (Una serie di sogni) in un cesto che porta un dylanmilione di canzoni è da setacciatori della qualità, da rabdomanti in continua ricerca dell’oro.

E l’oro meriterebbe se dovessimo assegnare una medaglia a quest’opera. In molti casi De Gregori attraversa le canzoni disteso, in altri si affanna a far stare le nuove parole nuove dentro alla vecchia scatola (Meglio Mondo Politico/Political World, col suo bel dobro, di Acido seminterrato/Subterranean homesick blues), ma  un album equilibrato lo fa il saliscendi tra ritmi e velocità, certi cambi di marcia servono. “Amore e Furto” trova la sua realizzazione nell’equilibrio tra rarissimi successi conclamati e canzoni originali che non sono nella bocca di tutti. Una strategia migliore non la si poteva attuare.  Anzi, era l’unica possibile per rubare con amore senza lasciare i segni dello scasso.

 

Voto: 8/10
Ermanno Labianca

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