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18 Maggio 2015 , ,

The Tallest Man On Earth DARK BIRD IS HOME

2015 - Dead Oceans
[Uscita: 12/05/2015]

Svezia  #consigliatodadistorsioni

 

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Qualche tempo fa il piccolo mondo della musica rimase alquanto sbigottito scoprendo che il tour di questo giovane svedese aveva realizzato ovunque il tutto esaurito, cosa che sembrava ormai prerogativa solo di pochi artisti dal grande richiamo internazionale, Kristian Mattson, il vero nome che si cela dietro lo pseudonimo The Tallest Man On Earth, nomignolo scelto in aperta e ironica contrapposizione con la bassa statura che lo caratterizza. Non sempre le vie del successo sono evidenti e chiare: non che il nostro non abbia delle frecce al suo arco, ma i suoi dischi - questo è il sesto lavoro - non hanno incontrato significativi riscontri di vendita, né il suo nome ha avuto sulle riviste altro rilievo se non quello di qualche recensione. Forse il motivo potrebbe stare nella semplicità e nella immediata comunicativa che la sua musica possiede. Le sue canzoni sono sorrette da melodie piacevoli e immediatamente accattivanti, gli arrangiamenti posseggono un'allegra e serena spensieratezza che ti costringe a seguirne il tempo, in poche parole le sue sono canzoni, forse anche solo canzonette, che si fanno piacere e che non puoi che essere felice di ascoltare. E poi c'è la sua voce, molto particolare, nasale, per niente aggraziata, ma che ha il potere di catturare l'attenzione, è stato per questo paragonato a Dylan. 

 

Ora con questo suo quarto lavoro “Dark Bird Is Home” il menestrello di Leksand ci dà la sua opera più matura e riuscita, una collezione di canzoni ben scritte, ben cantate e, soprattutto, ben arrangiate, il suono si è fatto più variegato e multicolore, sinth, fiati, percussioni, keyboards, piano si aggiungono alla chitarra, unico strumento col quale il the-tallest-man-on-earthNostro si è spesso accompagnato, e altre voci affiancano qui e là quella di Kristian Mattson. Il risultato è una tavolozza musicale che brilla per spigliatezza e molteplicità di emozioni che riesce a suscitare in chi ascolta. Si inizia con l'evocativa e malinconica, dylaniana, Fields of Our Home per passare alla forza ritmica di Darkness of Dream, emblematica della personalità di Mattson e del suo non rassegnarsi alla tristezza  «Suddenly the day gets you down/ But this is not the end/ No, this is fine». C'è poi l'intensa intimità di Little Nowhere Towns, nella quale si accompagna solo al piano, ma anche brani con accattivanti  atmosfere folk come Sangres o Timothy, perché i dischi di The Talles Man On Earth vivono delle contraddizioni dell'anima svedese oscillante fra i toni scuri e malinconici dei lunghi inverni e la gioia esuberante e luminosa delle splendide estati scandinave. E chiudiamo con i versi che chiudono la splendida canzone che dà il titolo all'album. «No, this is not the end / no final tears  that we need to show / I thought that this would last for a million years / but now I need to go.»    [di  I.G.]

 

 

2   [di R.G.]

 

ttL’uomo più alto della Terra riappare magicamente a 3 anni dal suo “There’s No Leaving Now”:  le vesti che ricopre però sono cambiate, almeno in apparenza, e quello che sfoggia è l’abito di un songwriter maturo  che nella lunga scalata dell’indie folk si è guadagnato una posizione privilegiata. “Dark Bird Is Home” rappresenta un nodo focale per la carriera di Kristian Matsson, sono gli arrangiamenti a suggerircelo subito nell’iniziale Fields Of Our Home quando la chitarra solitaria viene affiancata da synth, archi, sezione ritmica, fiati e nella coda addirittura da un coro quasi gospel;  e chiunque fosse affezionato alla formula “voce sgraziata da cantautore + chitarra acustica” rimarrà un po’ deluso. Anzi Matsson insiste con le springsteeniane di Sagres (singolo che anticipa l’uscita del disco) e Darkness Of The Dream. Nel country dreamy di Slow Dance e Timothy ritroviamo il sapore intorpidito di Justin Vernon (Bon Iver), non a caso, uno dei pochi altri musicisti su quest’album oltre a Matsson è Mike Noyce (Bon Iver) agli archi e alle voci).  I puristi dell’arpeggio compulsivo e dei ricami folk avranno per sé solo la piccola gemma di Beginners, o l’esperimento pianistico, fortunato e riuscito di Little Nowhere Towns. Le pennate colorate e nostalgiche di Seventeen introducono la conclusiva title track che nonostante parta in sordina esplode in un refrain pop ipnotico.

 

the tallest manNon c’è una “svolta elettrica” dylaniana in Dark Bird Is Home. Non c’è uno snaturamento stravolgente dei pezzi ma semplicemente un naturale defluire, una  inevitabile espansione di arrangiamenti e mood a cui Matsson approda dopo tre album di folk abrasivo e scarno. Un passaggio a cui frequentemente si assiste nel mondo di chi scrive canzoni (esempi recenti: lo stesso Vernon, i Fleet Foxes di “Helplessness Blues”), una big music/ampliamento delle proprie istanze con cui Matsson  doveva prima o TallestManOnEarthPiano3571BWpoi fare i conti. Ciò che sopravvive e viene fortificata è la poetica di TTMOE. La solitudine, elemento caratterizzante della sua opera si fa qui concreta, quasi la si può palpare con mano.  Il senso di amarezza e malinconia s’ispessisce e le sequenze musicali, sempre più stratificate e sognanti, corroborano le parole di Matsson, come in Little Nowhere Towns: ” I’m racing my pockets now / ‘cause I’m starting to believe / selling emptiness to strangers / a little bit warmer than my dreams”. Oppure si rincorrono scenari pieni di speranza come nella coda di Dark Bird Is Home: ”…still we’re in the light of the day”.

 

Voto: 7.5/10
Ignazio Gulotta - Ruben Gavilli

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