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7 Febbraio 2012 , ,

Thee American Revolution BUDDHA ELECTROSTORM

2011 - Fire Records/ Garden Gate Records/Goodfellas
[Uscita: 5/12/2011]

È passato poco più di un lustro da quando Robert Peter Schneider dichiarava: “I Thee American Revolution sono una band di cui la mente è un vecchio musicista, stiamo solo obbedendo ai suoi ordini”. Nel frattempo del fantomatico guru, certo Billy Shears, nome già apparso in Sgt. Pepper's e attribuito al sostituto del presunto ‘deceduto’ Paul McCartney, non si è avuta alcuna notizia e la sensazione che sia stata una trovata del geniale statunitense per creare interesse e un filo di mistero attorno la sua nuova creatura rimane più di un presentimento. Stessa sorte sembrava dovesse capitare al primo disco della band, che, subita una lunga incubazione, ritrova la luce solo ora, grazie alla collaborazione tra Garden Gate e Fire Records e come dicevamo è creatura del  leader degli Apples in Stereo, Robert Schneider, nonché fondatore del mitico collettivo Elephant 6 (Neutral Milk Hotel, The Olivia Tremor Control) e del cognato Craig Morris già Ideal Free Distribution. Un arcano risolto in undici anthem heavy-psych-pop-garage o in poche parole un pop drogato e frenetico suonato in presa diretta, cantato con voce distortissima e registrato con tanto di chiacchere di studio e baccano di sottofondo che se non sapessimo di chi si stia parlando giureremmo di trovarci alle prese con un gruppo di ragazzini brufolosi in vena di bisboccia, chiusi in uno scantinato a doppia mandata.

 

C’è da dire che l’atmosfera da sala giochi/fine party scolastico non va a ridicolizzare neanche minimamente la figura dei Nostri, ormai  signori di mezza età, che rimangono credibili e assolutamente coinvolgenti in virtù di un professionismo pari a pochi; sono esperti giocatori che riescono nell’impresa ardua di non risultare stanchi o stucchevoli neanche  quando calano volutamente la carta della parodia e del citazionismo lapalissiano, come ad esempio in Grit Magazine, con il suo riff ‘copia e incolla’ da Smoke on the Water dei Deep Purple o in quello epico semplicemente stonesiano di Power House, affidandosi a soluzioni sempre molto intelligenti, divertendosi e divertendo. Ed è un piacere  lasciarsi trasportare dalla sferzante veemenza di She’s Coming Down, un vortice Spaceman 3 che prima travolge tutto e  poi scompare nella stratosfera, o dalla carica esplosiva liberata da Little Girl, o farsi spettinare dalle chitarre fuzz delle blues jam tutte parrucconi e beffardia di Haircut e Electric Flame e ancora, ammaliare dal  ritmo accattivante di Shoeshine Blues, che strizza l’occhio alle radio. Blow my mind è forse piu vicina alla produzione Apples in Stereo, un bubblegum zuccherino scandito da handclapping, che dice tutto quello che deve dire in meno di  due minuti.

 

Tra armonie luminose ed esplosioni di rumore puro che lasciano storditi come un ragazzino alla sua prima cotta, sezioni ritmiche troglodite e temerarie, chitarre pese e amplificatori bollenti, inserimenti sbarazzini di mellotron ed effetti wah-wah da  far riposare in pace Ron Asheton degli Stooges, l’album si snoda fino alla sontuosa ballata bolaniana In Your Dreams / Japanese Clone, ultimo gioiello di un lavoro che non dà adito a nessun altro enigma: la vera ‘rivoluzione americana’ è stata il rock!. I componenti dei T.A.R. ne sono stati artefici  e ora ci sguazzano dentro, senza vergogna, irresistibilmente.    

Antonio De Luca
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