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5 Luglio 2012 ,

Beak> BEAK>>

2012 - Invada/Goodfellas
[Uscita: 3/07/2012]

Beak srcset=: “BEAK>>” " width="225" height="225" /># Consigliato da DISTORSIONI

 

Il favoloso produttore e batterista dei seminali Portishead, Geoff Barrow e i suoi amici bristoliani Matt Williams e Billy Fuller, sono i titolari del marchio Beak > e hanno dato finalmente alle stampe, tre anni dopo l’esordio omonimo, il nuovo e bellissimo seguito “Beak>>”.  Inciso in homemade sul modello del suo predecessore e registrato (con una certa urgenza, poco meno di dodici giorni), in presa diretta, l’album, pur mantenendo un’atmosfera claustrofobica, segna un ulteriore passo avanti rispetto all’esordio (emblematiche, in tal senso, le due freccette del titolo), grazie ad una musica più composita e meno convenzionale, maggiormente sperimentale e cerebrale. Nonostante la presenza di forti elementi cosmic e kraut (Neu e Can su tutti), reminiscenze dark-wave (Joy Division, Cabaret Voltaire) e dosi corpose di psichedelica pinkfloydiana, la musica dei nostri si mantiene abbastanza inclassificabile, andando ad inglobare, inoltre, elementi di funk, di stoner, electro, musica concreta  e colonne sonore da horror italiano. Così i Beak> ci mettono dinanzi un'identità forte e ben delineata, che vuole andare oltre allo status ‘minore’ di mero side project del leader. Armati di ubriacanti synth, di un basso cavernoso fortemente indebitato con la prima wave e un drumming spietato ad alto coefficiente d’inventiva (sulla scia del maestro Jaki Liebezeit), la band ci scorta per un viaggio intrigante, cupo e minaccioso, fortemente alienante e spiazzante per la sua imprevedibilità.

 

Apre le danze la cacofonica e mesmerica The Goal, che inquieta coi suoi synth prevaricatori e angosciosi come lamenti di sirena e ammalia grazie ad una sezione ritmica sghemba, strisciante e  rimbombante. Il battito motorik di Yatton, contornato da goffi e gommosi sequencer, ipnotizza e spinge l’album in lande kraute, mentre l’uso naif e primitivo del synth in Spinning Top fa venire in mente i mai troppo osannati Silver Apples. Il pezzo è caratterizzato  da una litania monotona, bisbigliata con voce catatonica, che va a morire sotto i sussulti di una percussione frenetica e ripetitiva.  Le seguenti Egg Dog, vorticoso valzer dal giro di organetto malato, che disegna una melodia ampollosa alla Serge Gainsbourg e le accelerazioni improvvise di Liar, forte di una portentosa linea di basso e di arpeggi insensati, seguono alla perfezione il canovaccio di atmosfere torbide e da incubo tracciato fino a lì. L’arte dei Beak> è oscura, lenta, difficile, a volte tormentata e diventa spettrale nello strumentale post-nucleare, da trilogia berlinese Ladies Mile. I chitarroni heavy-stoner di Wulfstan II puzzano di vintage più di una vecchia pelliccia pescata in un mercatino ed è forse il pezzo che meno ti aspetteresti di sentire. Una suite psichedelica e demoniaca, che si dipana in un susseguirsi e alternarsi di armonie vocali che sembran arrivare dal seminterrato, brevi scosse sonore taglienti, riff di basso micidiale, organo doorsiano e palpitazioni industriali.

 

Il ritmo metallurgico di Elevator fa ripartire il motore in quarta, spedito verso orbite galattiche; allo spegnimento dell’ultimo bordone però, si avverte la sensazione che qualcosa all’interno del nostro corpo continua a muoversi: è il terrore! Le conclusive Deserters, deliziosa nel suo incidere languido e mantrico e l’evocativa e progressiva Kidney, che inizia come un mormorio per poi farsi boato, mettono fine ad un sogno vacuo e minaccioso. Album intrigante dalla prima all’ultima nota, gioiello di rara bellezza. Un cadeaux prezioso, consigliato a chi voglia provare sensazioni emotive forti e a tutti gli amanti di atmosfere fosche e ossessive. Disco, in ultimo, che farà contenti i fans  più incalliti dei Portishead, costretti ad attendere sempre troppo tempo, tra una fatica e l’altra, la band di Bristol.

Antonio De Luca

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