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24 Maggio 2020 ,

Deeper Auto-Pain

2020 - Fire Talk Records
[Uscita: 27/03/2020]

Quando nel 2001 uscì “Is This It ?” degli Strokes ci si domandò come mai un disco dalla sostanza così fortemente derivativa come quello dell’esordio della band di Julan Casablancas riuscisse a colpire così tanto, nonostante rimestasse in una infinità di rimandi evidenti a chi abbia avuto a che fare almeno una volta nella vita con i Velvet Underground o gli XTC. Potremmo domandarci, perché ascoltare i discorsi dei figli quando i padri hanno già pronunciato parole indimenticabili? Senza voler cadere in riflessioni filosofiche sulla fine del rock come materia originale, possiamo dire semplicemente che l’esordio degli Strokes funzionava perché al suo interno c’era la cosa principale: le canzoni. Trovandoci di fronte ad “Auto-Pain”, sophomore dei chicagoani Deeper potrebbe sorgere la medesima questione, ovvero quella dell’ennesima band che scrive bene ma che in fondo vive di rendita. Eppure, dalle prime note dell’opener Esoteric ogni resistenza si scioglie come neve al sole. I Deeper hanno assimilato il suono della scena newyorkese del post punk, del chitarrismo nervoso dei Television, degli umori obliqui alla Cure, rimaneggiandoli con una forte personalità e capacità compositiva. Ogni residuo scetticismo viene polverizzato dall’ascolto di un suono magnifico (non a caso il disco è stato registrato e missato a Chicago dal guru Dave Vetraino e masterizzato da Greg Obis) fatto di mescolanza di elettricità e geometrie math, il tutto con un'attitudine indie che riconduce a quel capolavoro indiscusso che è “Apologize To The Queen Mary” di The Wolf Parade. Ma se c’è un riferimento diretto e marcato che attraversa le dodici canzoni è proprio “Marquee Moon” con il suono unico di Tom Verlaine a cui Nic Gohl guarda senza dubbio per congegnare le proprie ritmiche (vedi tracce come Run o 4U). “Auto-Pain” è un concept ispirato alle visioni distopiche de "Il Mondo Nuovo" di Aldous Huxley e al modo di concepire una connessione iperrealistica con il mondo ed il tempo presente. In questo senso l’auto-dolore costituisce la scelta di stare al mondo sentendone il peso e rinunciando con consapevolezza a qualsiasi forma di anestesia della mente, come quella indotta dal soma, la pillola che, al contrario, obnubila e rende distanti da tutto e da sé stessi. Interessante è la foto di copertina che ritrae il Prentice Women's Hospital di Chicago, la cui ardimentosa forma a quadrifoglio simboleggiava il dualismo strutturale dell’idea imperitura del futuro ed il suo contestuale fallimento,considerato come complesso sia stato sgomberato nel 2011 per essere successivamente demolito. La qualità media dei brani di “Auto-Pain” è molto alta e la tensione non scende neanche per un attimo, come in This Heat, pronta a gonfiarsi di basse frequenze nei punti giusti, in Lake Song dove il post-punk incontra le armonie degli Arcade Fire di “Funeral”, oppure in Spray Paint dove si viene avvolti da spore alla Cure. V.M.C. è purezza alla Joy Division sulle sponde di “Unknown Pleasure”, mentre l’ottimo The Knife si attesta su un fronte che prima lambisce gli Smiths e i Franz Ferdinand per poi venire attratto nell’immaginario degli onnipresenti Television. “Auto-Pain” manifesta una innegabile capacità magnetica che cresce ancora di più dopo alcuni ascolti, in grado di disvelare le geometrie di un sound preciso le cui ascendenze avrebbero schiacciato chiunque sotto il peso di una eredità difficile da gestire. Possiamo dire che al secondo album i Deeper abbiano fatto già centro pieno.

Voto: 7.5/10
Giuseppe Rapisarda

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