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27 Agosto 2018 , ,

Cowboy Junkies ALL THAT RECKONING

2018 - Latent Recordings/Proper Music
[Uscita: 13/07/2018]

Canada   #consigliatodadistorsioni

 

frontA trent’anni di distanza dal capolavoro “The Trinity Sessions”, il combo canadese Cowboy Junkies dei fratelli Timmins (Margo, Michael e Peter, ai quali da sempre è affiancato il bassista Alan Anton) sembra quasi tornare su quel luogo del delitto dal quale si era sviluppata una carriera di tutto rispetto  e che li aveva visti protagonisti oltre i patri confini grazie a una serie di album tra l’eccellente (“The Caution Horses”, “Black Eyed Man”, “Pale Sun, Crescent Moon”) e il molto buono (l’esordio “Whites Off Earth Now!”, “Lay It Down”, il live “200 Motels”, tra gli altri), manifestando successive, rare, cadute di tono. Con l’avvento del millennio, la progressiva latitanza d’ispirazione aveva portato alla rivisitazione di quel disco così importante (“Trinity Revisited”, 2007), inaugurando un decennio nel quale il gruppo pubblicherà una serie di album tematici (la “Nomad Series”, consistente in quattro volumi di inediti provenienti da epoche diverse, ai quali verrà aggiunto un ulteriore volume di “Extras”, e “The Kennedy Suite”, 2017, sorta di psicodramma collettivo in musica incentrato sulle note vicende evocate dal titolo. Erano dunque dodici anni che attendevamo un nuovo capitolo che aggiornasse la storia della band.

 

Sin dall’attacco di All That Reckoning (Part 1), sostenuto dal basso di Alan (coautore di parte delle musiche), si comprende quanto quello che abbiamo tra le mani non sia un disco qualunque, realizzato per dovere contrattuale: l’atmosfera è quella dei bei tempi, scura e densa, la voce di Margo Timmins (nella foto), sempre ammaliante, a raccontare di un amore sofferto. Cowboy_Junkies-10-750x430La batteria discreta di Peter Timmins si inizia a sentire dal secondo brano, l’ottima When We Arrive, cui fanno seguito la tipica Junkies song The ThingsWe Do To Each Other  e la più particolare Wooden Stairs, impreziosita dal violino di James McKie. La splendida, chitarristica e irruente (per gli standard del gruppo) Sing Me A Song manifesta  l’ottimo lavoro sulle musiche di Michael Timmins, autore di tutte le liriche e saltuariamente affiancato alle chitarre da ospiti del calibro di Bill Dillon e Aaron Goldstein, e Alan (anche tastierista, affiancato dal pianista Jesse O’Brien in un paio di occasioni). E' l'introduzione al tono psichedelico che accompagna CJ_hires2_HeatherPollockcanzoni ipnotiche, a volte narcotiche (Mountain Stream (The Angel), l’acida Missing Children (The Tyger) -la “y” non è un refuso- che reputiamo la migliore del disco assieme a All That Reckoning (Part 2). All’energia poi controllata di Nose Before Ear si aggiungono eteree ballate intrise di folk (Shining Teeth, The Possessed). Un album che cresce con gli ascolti e che soprattutto riporta in alto le quotazioni artistiche di un gruppo che abbiamo amato e potremo continuare ad apprezzare con rinnovato piacere.

 

Voto: 7,5/10
Massimo Perolini

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