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10 Giugno 2012

SOGNI (Konna Yume Wo Mita) Akira Kurosawa

1990 - Giappone-Usa

Il poeta-imperatore del cinema giapponese, Akira Kurosawa, ci dona un’immensa parabola sulla bellezza della natura minacciata dall’intervento di un’umanità sempre più distruttiva. “Sogni”(Konna Yume wo mita, 1990), diviso in otto episodi, è uno degli ultimi capolavori di questo grande autore, è un viaggio onirico ispirato da eventi della vita stessa di Kurosawa, nonché dai suoi sogni. Attraverso una visione che ci rimanda alla pittura del realismo magico, il film percorre le stagioni della vita di un personaggio, Io, alter-ego del regista, interpretato nella maggior parte degli episodi da Akira Terao;  sono otto brevi squarci di vita, racconti di un tempo mitico e lontano o di un futuro post-apocalittico, bellezza e allo stesso tempo riflessione critica sulla natura umana.

 

Dreams are what you live for...

Lo scorrere del tempo che scandisce le stagioni della vita è lo sfondo di questa dichiarazione di amore-odio che, un ormai saggio Kurosawa, fa al mondo, inteso come rapporto uomo-natura. I primi due episodi Raggi di sole nella pioggia e Il pescheto sono ambientati in un Giappone senza tempo, un’epoca mitica dove la simbologia, la spiritualità e le credenze popolari di questa cultura sono le tematiche portanti attraverso le quali ci viene mostrata la curiostà e l'innocenza dell’infanzia. Il protagonista dei due episodi è infatti un bambino (interpretato da Toshihiko Nakano), probabilmente il Kurosawa bambino, che nel surreale Raggi di sole nella pioggia disubbidisce alla madre e infrange la regola di non spiare il matrimonio delle volpi (Kitsune) che, secondo il mito, si tiene nei giorni in cui sole e pioggia coesistono. La scena del matrimonio è un intenso rituale nel bosco, una danza che il regista ritrae in un piano-sequenza molto suggestivo e dai colori iperrealistici. La danza è presente anche nel secondo episodio, Il Pescheto: in questo caso sono delle bambole, la personificazione degli alberi di pesco nella cultura giapponese, che si rivolgono al piccolo Io, le cui lacrime  chiedono perdono a questi "spiriti" per il pescheto distrutto.

 

Il regista così, in questi due episodi, esalta la purezza infantile racchiusa in quel frangente di esistenza non ancora corrotto e lo fa anche visivamente mediante un poesia di colori e giochi di luce, come il rosa dei fiori di pesco o i raggi del sole che irrompono tra i rami nel bosco. Il regista vuole quasi preservare la bellezza dell'animo non ancora alterato che si trova in un bambino, ritraendo in maniera delicata l’ingenua purezza infantile. È la pittura un altro elemento pregnante di questo lungometraggio, l’episodio centrale I Corvi è infatti un viaggio attraverso le opere di Vincent Van Gogh (singolarmente interpretato da Martin Scorsese) che dialoga nuovamente con l’ater-ego di Akira Kurosawa Io, ormai adulto, il quale entrando letteralmente nei quadri del pittore olandese ci trasporta nella dimensione più propriamente surreale di tutto il film. Qui il connubio tra cinema e pittura non ha eguali nell’intera storia della settima arte. In questo episodio, forse il più suggestivo, il cineasta giapponese attraverso le parole di Van Gogh, ci fa riflettere sulla natura stessa della pittura e quindi anche sul cinema, erede indiscusso delle arti figurative. Il "perdersi dentro la natura" di cui Van Gogh ci parla è forse la stessa dinamica secondo la quale un regista, in questo caso Akira Kurosawa, si approccia al mondo e la metariflessione perciò è inevitabile.

 

Oltre ad esaltare la grandezza dell’artista e quindi le potenzialità dell'uomo, l’autore, proprio come in un meccanismo a scatole cinesi, conduce lo spettatore all’interno dell’opera d’arte che si trova a sua volta dentro un’altra opera d’arte, il film stesso. Tutto questo lungometraggio è poi, come si diceva in precedenza, ricco di elementi simbolici appartenenti alla cultura del Giappone, infatti nel terzo episodio, La Tormenta, troviamo una yuki-onna, spirito della neve, che cerca, senza riuscirci, di ammaliare il protagonista Io e fargli perdere la speranza di salvezza.  Questa presenza di elementi propri della cultura nipponica conferiscono al film quel carattere di onirismo che è poi la matrice fondamentale e che, anche in episodi come Il Tunnel, in cui si riflette sulla tematica della guerra, fa da filo conduttore con l’intera opera. Il regista condanna così  la crudeltà della guerra: il protagonista è infatti un comandante che, incontrando gli spiriti dei suoi soldati morti, chiede perdono, sottolineando così la follia del genere umano.  

 

Gli episodi più cupi sono Fuji in rosso (dove sicuramente c’è un omaggio al grande pittore Katsushika Hokusai) e Il Demone che piange, entrambi delle invettive al progresso e alla distruzione dell’uomo nei confronti della natura. L’autore immagina un futuro apocalittico in cui, in Fuji in rosso, il Giappone sta per essere distrutto dall’eruzione del Monte Fuji e dalle radiazioni delle centrali nucleari, e ne Il Demone che piange, un mondo post-apocalittico dove gli uomini sopravvissuti al disastro nucleare si sono trasformati in demoni disperati che ricordano i dannati dell'inferno dantesco.  La visione di Kurosawa in questi due casi si fa più negativa, egli in qualche modo accusa l’umanità e il bisogno di un irrefrenato progresso che porta soltanto alla distruzione e all’infelicità., la sua tanto amata natura viene sopraffatta dalla follia dell'uomo che in modo spietato ed egoistico annienta ciò che lo circonda ottenendo soltanto morte e disfacimento.

 

A questi due episodi si contrappone l'ultimo, Il Villaggio dei Mulini, in cui troviamo l’anziano interpretato non a caso da Chishu Ryu, l’attore-feticcio di Yashujiro Ozu. Qui siamo di fronte ad un ritorno ad una vita semplice, a stretto contatto con la natura, lontana dal progresso e dalla corruzione della civiltà moderna. Un villaggio di bellezza bucolica, un’utopia di comunità dove il fiume (che aziona il lavoro dei mulini) sorregge la vita degli abitanti. La scelta dell’attore Chishu Ryu è fondamentale, la   tematica di questo episodio racchiude molto del lavoro del regista Yasujiro Ozu di cui il cineasta giapponese è un grande ammiratore. La riflessione finale sulla morte chiude questa intensa opera di uno dei registi più importanti del cinema mondiale: in questo villaggio la morte non è vissuta come un momento di tristezza ma come un’occasione per congratularsi con chi non c'è più della vita che ha condotto.  Il film così si conclude con una grande speranza, una tenera illusione di una realtà idilliaca. Lo spettatore si sveglia e proprio come al risveglio da un bellissimo sogno è meravigliato, dolcemente confuso e con il desiderio di riviverlo ancora.

 

                                                                                                                                  

Andreina Di Sanzo

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