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16 Marzo 2013

NO Pablo Larrain

2012 - Cile

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Pablo Larrain aggiunge un tassello alla sua opera di ricostruzione della storia del Cile negli anni della dittatura di Pinochet, dopo "Tony Manero" (2008, miglior film al festival di Torino) e "Post Mortem" (2010). Se nelle pellicole precedenti l’orrore della dittatura  era il motore storico di vicende private, causa emersa nelle vicende di angoscianti esistenze, in "No" la Storia del paese entra in tutto nel film, diventandone la vera protagonista. Il film ricostruisce gli avvenimenti precedenti al referendum che pose fine alla dittatura di generale Pinochet, instaurata nel 1973 (col beneplacito e l’aiuto degli USA) in seguito al rovesciamento del governo guidato da Salvador Allende, assassinato dai militari. Nel 1988 il governo cileno, su pressione internazionale, concesse ai cittadini un referendum confermativo sul mandato presidenziale di Pinochet. Convinto intimamente di poter superare agilmente questo ostacolo grazie all’enorme macchina del consenso che reggeva la dittatura (fatta di intimidazioni e violenza e sostenuta da media totalmente asserviti al regime) il governo concesse all’opposizione semiclandestina venti minuti quotidiani, a tarda notte, sulla tv di stato, in cui sarebbero passati gli spot elettorali del fronte del No.

 

Una concessione tutta di facciata che le gerarchie di potere consideravano assolutamente innocua, anche perché era contrastata dalla restante programmazione televisiva, che anche quando non trattava direttamente il referendum era totalmente votata all’esaltazione dello status quo. Il protagonista del film è René Saavedra, un giovane pubblicitario abituato a lavorare per le multinazionali straniere (del commercio e dell’intrattenimento), cui viene affidato il compito di riempire questi pochi minuti messi a disposizione dell’opposizione. Ribaltando la strategia pensata dai partiti d’opposizione e applicando alla politica le regole del marketing pubblicitario, il giovane executive riuscirà ad ottenere un risultato inaspettato. Larrain punta all’effetto immersione nello spirito dell’epoca, amalgama in maniera assai riuscita le immagini della tv di allora con lo stile semi-documentaristico della vicenda narrata. Il regista crea un effetto di continuità tra materiali televisivi di repertorio e fiction utilizzando macchine da presa degli anni Ottanta le cui immagini modellano il video secondo gli standard qualitativi di quel tempo.

 

NOQuesta operazione di fusione, se ad una prima impressione può sembrare solamente l’effetto di un filtro stile-Instagram da vintage posticcio e modaiolo, si rivela in realtà una scelta meditata che mette in luce lo scopo stesso del film, in cui è la tv (a colori) a rendersi responsabile, iconicamente, di un passaggio politico. La pregnanza dell’effetto vintage, dunque, è prima di tutto semantica e diegetica, non impone patine finto-rètro generate da un filtro scaricabile da qualsiasi app-store, ma narra essa stessa il significato ultimo di quella televisione all’interno della società cilena, attraverso le immagini da quella tecnicamente generate. La televisione è dunque il nodo centrale di No, e attorno al suo ruolo si sollevano una serie di questioni che riguardano il Cile in primis, ma più in generale la natura della percezione estetica e politica della società (e della realtà) filtrata da un monitor. In questo senso No indaga gli albori del potere mediatico della “nuova” televisione commerciale degli anni Ottanta (anche in Italia dovremmo saperne qualcosa), utilizzato – per una volta almeno – per una causa più che nobile.

 

No è un film dall’alto afflato morale (come sempre in Larrain), in primo luogo perché pone delle domande, la prima delle quali è quella sulla liceità di combattere i propri avversari (i propri nemici) con gli stessi mezzi con cui il nuovo imperialismo televisivo, sostenuto dalla vecchia dittatura, aveva narcotizzato una società devastata da un regime sanguinario. Abbattere la società dello spettacolo, il mondo realmente rovesciato in cui il vero è un momento del falso, significa utilizzare regole nuove, che meglio rispecchiano il cambio epocale. La scelta vincente sarà dunque quella di far cadere la più terribile dittatura del Sudamerica non con la (sacrosanta, certo) rigidità morale dell’opposizione e la sua volontà di utilizzare l’esiguo spazio televisivo assegnatogli ribadendo la forza della verità, bensì adottando le regole della televisione commerciale, attraverso spot mutuati dalle pubblicità dei prodotti e dei marchi delle multinazionali. L’intuizione, assolutamente realista e pragmatica, è  semplice: nel capitalismo avanzato anche la libertà è un prodotto che prima di essere conquistato va innanzitutto pubblicizzato come un bene necessario.

 

noIl ritorno alla luce del Cile, sottolineato da Larrain da una fotografia luminosissima (che esce dalle “tenebre” e dall’algido rigore dei film precedenti), porta con sé i germi della critica e della riflessione, ma soprattutto allontana dal film lo spettro della retorica della vittoria, lasciando alla vicenda un’amarezza di fondo. La vittoria c’è stata, ma il motore scatenante è stato mediatico prima che politico. Il Cile, come l’Italia verrebbe da dire, è un paese dove le rivoluzioni dal basso non sono contemplate, e men che meno in tempi di spettacolarizzazione generale; ed ecco che la comunicazione pubblicitaria deve sostituire la comunicazione politica. Un ritorno alla luce, dunque, che s’ammanta dell’ambiguo effetto scia dei televisori dell’epoca, ambiguo perché sancisce sì la fine della macelleria fascista di Pinochet ma ingloba, ancora una volta, la società cilena nel meccanismo post-capitalistico della società dello spettacolo, secondo le cui logiche la libertà è un bene da promuovere al pari di una bevanda zuccherosa o della nuova stagione di Beautiful.

 

Il fine giustifica i mezzi, si dirà, meglio Ridge Forrester che il generale Pinochet, e su questo non si discute, ma la questione di fondo è che sia l’uno che l’altro, in questo nuovo grado di realtà, sono due prodotti imposti dall’alto, eterodiretti almeno negli aspetti formali (ma la forma è il contenuto, alla fin fine), e sostituibili al giusto momento. Il giovane e malinconico protagonista è al centro di uno scontro generazionale che mette in campo due concezioni del mondo. L’austerità politica dell’opposizione tradizionale al regime, assai minata (anche e soprattutto fisicamente) dalla dittatura, non riesce a comprendere le strategie politiche del giovane pubblicitario, che sostituisce alle testimonianze, cioè alla realtà degli oppositori torturati o uccisi dall’esercito, le rappresentazioni e i simulacri del “falso” televisivo (iper-reale, in senso baudrillardiano) che promettono felicità, allegria e spensieratezza.

 

no-by-pablo-larrainSi tratta di due sistemi linguistici messi a confronto, e, piaccia o meno, il linguaggio edulcorato del mondo della pubblicità è quello che si rivelerà vincente, perché interpreta e utilizza al meglio il cambio di percezione del reale ormai avvenuto e il ruolo che la televisione commerciale ha avuto in questo passaggio. Il film di Larrain, dunque, rappresenta bene lo svolgersi degli eventi storici perché il punto focale del film rimane sempre il meccanismo sotterraneo con cu questi eventi si sono realizzati, sviscerato in tutta la sua forza e in tutte le sue contraddizioni. Il cinema del regista cileno è genuinamente militante (ma mai ideologico) proprio perché non si limita a narrare i fatti ma li inserisce in un’idea di sviluppo storico che ingloba in un’unica narrazione le vicende dei protagonisti, i fatti della storia e soprattutto l’orientamento teorico che sta alla base di ogni processo umano. La dittatura viene quindi sconfitta perché la lotta diventa finalmente ad armi pari: e il nuovo Cile è ricostruito con l’ausilio di quelle stesse armi che hanno demolito la realtà, e con cui si è combattuta  una guerra sul campo (virtuale) della società dello spettacolo.

 

                                                Luca  Verrelli

 

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Il Plebiscito nazionale del Cile è stato un referendum svoltosi il 5 ottobre del 1988, data storica per quel paese tanto martoriato. Di fronte alle pressioni internazionali si doveva in pratica rimettere all'elettorato la scelta sulla direzione futura del paese sudamericano dopo 15 anni di feroce dittatura del boia Pinochet. Il caudillo sanguinario come tutti sapranno aveva preso il potere con il famoso golpe dell'11 settembre1973, appoggiato e con la complicità dei soliti Stati Uniti d'America (Nixon+Kissinger), sempre pronti a spegnere i focolari di libertà e socialismo in tutto il mondo. La conseguente morte del Presidente regolarmente eletto Salvador Allende aveva spento i sogni di un paese che per tutto il Sudamerica rappresentava un modello di democrazia da imitare. Il bravo regista cileno Pablo Larrain aveva documentato bene la morte di Allende nel suo film del 2010 "Post mortem", un'altra cruda testimonianza di una delle peggiori dittature della latino america.

 

no pablo larrainAnche il noto romanzo "La casa degli spiriti" di Isabelle Allende, ma ancor meglio pellicole e documentari, possono essere un buon punto di partenza per capire quello che successe in Cile nei settanta, allo stesso modo della vicina Argentina che subì identica e uguale sorte. Questa nuova pellicola di Larrain, "No" è stata molto ben accolta al Festival di Cannes, segno che il cinema verità quando è raccontato bene trova sempre tanti e giusti estimatori. Figura principale del film è il bravissimo Gael Garcia Bernal, un attore ormai giunto alla sua piena maturità artistica, qui perfetto nel ruolo di pubblicitario e gioco forza attivista politico Renee Saavedra. Bernal nel film indossa sovente la t-shirt del Messico, quasi a ribadire le sue origini e si avvia a diventare un attore amato non solo per il suo aspetto fisico. Questo è il il suo ennesimo ruolo da alternativo-anticonformista rivoluzionario o quasi, dopo le due perfette immedesimazioni della leggenda Che Guevara  nelle pellicole "Fidel" (2002) e "I diari della motocicletta" (2004), entrambe consigliatissime.

 

Con il compito preciso di realizzare uno spot elettorale di 15 minuti per promuovere la campagna per il no, a Pinochet ovviamente, Renee/Bernal, un agente pubblicitario, si troverà di fronte a mille difficoltà, minacce verbali e fisiche, tipiche dei regimi dittatoriali. Insieme al suo team di collaboratori di fronte ad iniziale scetticismo riuscirà a smuovere l'impaurito popolo cileno e catapultarlo in massa al voto, per una vittoria che sembrava irraggiungibile. Tra le altre cose avrà  il merito di credere che non solo con le crudeli immagini delle atrocità del fascismo si potrà smuovere la coscienza e gli animi delle persone ma anche con video di gioia e speranza di vivere. Lo slogan usato "Cile la felicità sta arrivando" diventerà in breve un simbolo di resistenza nazionale al pari del celeberrimo "El pueblo unido jamàs serà vencido", celebre canzone del movimento Unidad Popular e scritta dal grande Sergio Ortega nel 1970. Davvero geniale la scelta del regista Larrain di utilizzare macchine da presa dell'epoca, ovvero di 40 anni prima, per condurre lo spettatore in un viaggio a ritroso nel passato, per farlo calare nella realtà degli anni settanta.

 

NOGli stessi gloriosi videotapes usati per gli spot della campagna elettorale ci riportano indietro nel tempo ad un' epoca che rispetto la tecnologia di oggi ci appare lontanissima. Molto bravi e molto anni settanta gli altri protagonisti, tra di loro l'ex moglie (nel film) di Saavedra, Veronica interpretata da Antonia Zegers ma pure l'amico/nemico Alfredo Castro non è da meno. "No" è basato sul racconto "Referendum" di Antonio Skarmeta (da una sua idea il film "Il postino" di Troisi). Le immagini mostrate nel film non sono come si potrebbe immaginare di crudeltà estrema, ma le poche sequenze di manifestazioni interrotte con brutalità dalla polizia rendono bene l'idea. Un film verità che racconta un trancio di storia che noi europei abbiamo dimenticato o che non conosciamo affatto, ma che giustamente Pablo Larrain ci ricorda e ci sbatte davanti in quasi tutti i suoi lavori. Da vedere per riflettere e non dimenticare.

 

                                        Ricardo  Martillos 

 

Luca Verrelli - Ricardo Martillos

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