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29 Settembre 2014

L’urgenza di raccontarsi Intervista a Gabriele Muccino

2014 - Italia

Gabriele-Muccino-regista-diviso-tra-Italia-e-Usa-10Abbiamo incontrato ed intervistato via Skype in esclusiva per Distorsioni il regista italiano Gabriele Muccino, mentre si trovava a New York in fase di missaggio e rifinitura del suo ultimo film - il quarto americano -  “Fathers and Daughters”, interpretato da Russell Crowe e Amanda Seyfried, in uscita in Italia per gennaio prossimo. Gabriele è molto contento del risultato ottenuto, tanto da definirlo una tra le sue migliori pellicole, per intensità e potenza. Ecco quanto ci ha dichiarato.

 

 

L’INTERVISTA

 

Dario Neglia (Distorsioni) - Gabriele, sei alla quarta esperienza cinematografica americana. “La ricerca della felicità” e anche in parte “Seven pounds” sono stati due rari esempi di ottimo cinema che incassa negli States, in un genere, quello drammatico, che difficilmente riesce a farsi spazio nel mercato americano dove primeggiano franchising (la serie della Marvel per intenderci), film d’animazione e commedie comiche. E' un motivo particolarmente stimolante per te per fare questo tipo di cinema?

muccinoGabriele Muccino - Girare questo tipo di film per me non è solo fonte di stimolo, ma anche di preoccupazione. Significa ritrovarsi a competere in un mercato molto ristretto di film, non più di 4 o 5 all'anno che raggiungeranno il grande pubblico. Molti film sono destinati a rimanere ai confini del mercato perché la gente di solito non corre a vedere un film drammatico. Quindi è molto importante curare tutti i particolari, come ad esempio la comunicazione, il trailer, e non ultima la data di uscita. Il periodo migliore è tra ottobre e dicembre. Questo fa sì che ci sia molta più "memoria" da parte della critica in previsione della corsa agli Oscar. Esempio in negativo l'anno scorso è stato “The Butler" che pur incassando 160 milioni di dollari ha commesso l'errore di uscire a luglio contemporaneamente ad alcuni "Blockbuster" rimanendone schiacciato e tagliato fuori dalla corsa agli Oscar nonostante le sue otto candidature.

 

Tu sei l’unico regista italiano che dirige film in America, l'unico che abbia avuto il coraggio di non adagiarsi sugli allori italiani e che abbia cercato di misurarsi fuori dai confini nazionali. Lo hai fatto per mera ambizione o perché sentivi che il tuo stile fosse più consono al mercato statunitense?

muccinoIn realtà il mio debutto americano è capitato un po’ per caso, una serie di fattori si sono allineati in modo alchemico e questo mi ha permesso di essere chiamato dalla Hollywood che conta. Negli Stati Uniti ci sono film con movie star, film indipendenti e film invisibili, io ho avuto la fortuna di essere ingaggiato dalla Columbia e di poter contare su Will Smith come protagonista, che in quegli anni era al top della sua carriera ed era considerato il numero uno del pianeta insieme a Tom Cruise. E' stata per me un’esperienza incredibile, tanto da spingermi a andare avanti nonostante qui sia facilissimo sbagliare, la competizione sia potentissima e la possibilità di essere dimenticati sia dietro l'angolo. A Hollywood, per intenderci, è come giocare al Maracanà ogni giorno, ma è proprio la paura di sbagliare, per me, la molla per continuare ad accettare nuove sfide.

 

A volte, non hai la sensazione che il tuo successo non venga riconosciuto così come dovrebbe in Italia?

Penso che questo sia un fenomeno diffuso nella vita degli artisti e il cinema non fa certo eccezione. Ricorre spesso il fenomeno di essere “dimenticati” in patria, prima ne soffrivo un po’, ma per me ora è un fattore quasi positivo e comunque l’idea di poter tornare a girare in Italia mi attrae sempre molto. Comunque quello del “Nemo propheta in patria” è un fenomeno europeo, Luc Besson ad esempio è assolutamente sotto considerato in Francia. L’Europa è un “paese” vecchio e quindi vive una sorta di provincialismo che a volte porta a questo.

 

seven poundsVittorio Gassman diceva che un attore “...non è quasi mai naturale” e che solo in pochissimi film era riuscito a esserlo. Quella di riuscire a tirar fuori la naturalezza dagli attori e dai loro personaggi è forse la tua capacità migliore come regista. Forse questo è il motivo per cui molte star americane ambiscono a lavorare nei tuoi film?

Sicuramente. I registi americani non sono famosi per essere dei grandi "direttori di attori", sono bravi tecnicamente, ma la capacità di dirigere la recitazione è una dote che hai naturalmente, non si impara, io l’ho sempre avuta e soprattutto l’ho sempre coltivata molto, motivo per cui gli attori con me rendono di più. Io sto molto addosso a loro, prova ne è che nel mio ultimo film, sia Amanda Seyfried che Russell Crowe sono fenomenali, così come la bambina che interpreta sua figlia. Vedrete, la sua recitazione è davvero potente. Per Woody Allen vale un discorso a parte. Lui ha uno stile completamente diverso, lascia molto liberi gli attori nella messa in opera, mi sono informato sul suo modo di dirigere ed è noto a tutti che con lui tutti rendano quattro volte più che con chiunque altro.

 

Il tuo ultimo film “Fathers and Daughters” vanta la presenza di un premio Oscar, Russell Crowe. Pensi che con questa interpretazione possa ambire al suo secondo Oscar?

muccino1Toccando ferro, direi di sì, se poi accadrà dipenderà dall’allineamento delle stelle. Ci sono molti film che hanno tutti gli elementi per essere dei film indimenticabili e invece poi finiscono per essere ignorati, altri che vengono riscoperti dopo vent’anni. Ci sono stati film che hanno vinto l'Oscar e poi sono stati dimenticati dopo tre mesi, era questo che intendevo quando parlavo di congiunzione astrale. Ci sono una serie di temi minori che concorrono alla vittoria, una sorta di passaparola e di trend verso un attore che poi gli permette di vincere un Oscar. Lo stesso vale per i registi e per gli stessi film. Vincerne uno è una cosa “vera”, non ci sono giochetti dietro, non ci sono manovre reali per vincerlo, anche se ci sono produttori più abili a promuoverlo. Insomma chi lo insegue di solito non lo vince.

 

Cosa pensi che abbia Russell Crowe in più rispetto ad altre star e cosa ti ha colpito di lui che non ti saresti mai aspettato?

Russell è veramente molto, molto intenso, fisicamente è un uomo-attore con una forza magnetica enorme. Anche fuori dal set, quando entra in una stanza avverti immediatamente la sua presenza, presenza che trasferita in un film diventa gigante e quando lui capisce che un regista ha le idee chiare e che veramente sa condurlo in cambio ti dà moltissimo. E' un attore capace di interpretare cinque sfumature diverse in una sola battuta, possiede una recitazione multidimensionale che mi ha lasciato a bocca aperta.

 

Quello di “Padre e figli” pur trattandosi dell’unico legame d’amore indissolubile è spesso un tema trascurato nei film a favore dei rapporti di coppia, temi entrambi che conosci benissimo per il tuo modo viscerale d’intendere e vivere la tua vita. Pensi sia più complesso raccontare l’amore di un padre e di un figlio?

muccinoPiù che complesso è diverso, l’amore tra un padre e un figlio è un rapporto che raramente conosce reali fratture, può avere delle sospensioni, dei conflitti, ma che rimane anche quando non c’è più il rapporto. E' la forma di amore, di trasferimento della propria conoscenza più alta che ci possa essere e che non sempre riesce. Si può essere cattivi padri o essere o avere dei figli che non sono le persone che tu credevi che fossero, questo può creare degli enormi conflitti e dinamiche molto complesse, ma è questo che alimenta la voglia di fare film. Questo è il “nodo” che muove la società e il mondo, noi siamo i figli dei figli dei figli, siamo il prodotto delle nostre generazioni, delle nostre genealogie, siamo quello che siamo perché siamo figli di qualcuno, siamo figli di qualcuno che ci ha trasferito o non trasferito qualcosa.

 

Il tuo rapporto con il cinema americano, con il suo mercato e il suo sistema mi sembra che sia molto sofferto, di amore e odio. Come se fosse per te il prezzo da dover pagare per raggiungere il vero successo. Che rapporto hai con il successo e con il tuo successo in particolare?

Il successo crea solo complicazioni, non rende la vita piu facile. Nell'industria di Hollywwod serve perché ti permette maggiore libertà di scegliere il progetto che ti piace di più. Il sistema cinematografico americano è un sistema molto complesso, ti fa sentire sempre sotto esame e questo è faticoso. Nonostante io sia al mio nono film, la mia carriera sia stata piena di sorprese positive e i miei film siano stati visti davvero in tutto il mondo, qui sei sempre, come dicono loro, "l’ultimo film che hai fatto”. Questo significa che anche se in precedenza hai incassato 700 milioni di dollari con una sola pellicola, quello che conta è il tuo ultimo risultato al botteghino, quindi ogni volta fai fatica come fossi un esordiente. Questo è un "sistema" che ha sbranato centinaia di registi e soprattutto attori.

 

Sei conosciuto come una persona molto motivata e soprattutto come un grande motivatore, e che la tua voglia di affermarti è il “motore” che da sempre ha mosso la tua vita professionale. Alla luce di queste considerazioni, considereresti la vittoria di un Oscar una buona ragione per un tuo definitivo appagamento?

fatherssetIo non mi considero uno che ha voglia davvero di affermarsi, ma uno che ha un’urgenza di raccontarsi, il che è diverso. Ho veramente bisogno di raccontare il mondo che sono. Il mio fine ultimo è quello di motivare e raggiungere il pubblico. Una sala vuota con un Oscar in mano non mi interessa. Se dovessi scegliere tra un film che amo e che hanno visto settanta milioni di persone, come La ricerca della felicità,  piuttosto che tre milioni di persone, ma con l’Oscar, beh, preferisco La ricerca della felicità.

 

Una ricerca ha provato che gli attori e i registi che hanno vinto almeno un Oscar in carriera abbiano vissuto più a lungo degli altri. Tu Gabriele, oltre che essere alla ricerca della felicità, sei anche interessato a quello dell’immortalità?

Detto sinceramente non  penso spesso a questa ricetta per risolvere l’antipatia che ho verso la morte. 

 

Grazie Gabriele, a presto 

Grazie a voi, a presto

 

Dario Neglia

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