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11 Novembre 2013

La vita di Adele Abdellatif Kechiche

2013 - Francia

La_vita_di_adele_poster_italianoLa vita di Adele, vincitore della Palma d'oro all'ultimo festival di Cannes, è un film che avvolge lo spettatore in un vortice di sensi al di là di ogni possibile immaginazione. Ci riesce attraverso un linguaggio che travalica abilmente la sintassi classica del film romantico, della storia d'amore. Perché in fondo di questo si tratta, di una semplice ma travolgente storia d'amore. Due ragazze si innamorano, un colpo di fulmine attraversando la strada apre le porte ad una love story vissuta col corpo e con l'anima, intensa e annichilente, totalizzante come solo la passione vera, l'attrazione ferina verso un altro individuo può essere. Adele, la protagonista, è presente, nella sua normalità quasi archetipica, in ogni inquadratura, la macchina da presa la segue, la scruta e la esplora, rivelando ogni dettaglio di un corpo ancora acerbo, forse goffo, ma carico di un erotismo vivificante. Lo sguardo dell'obiettivo si fa sempre più insistente, rivelandone i gesti, carichi tutti, anche quelli apparentemente banali e quotidiani come il mangiare ed il dormire, di un  potenziale sessuale che non tarda ad esplodere. E poi c'è l'amore: brutale nella sua banalità eppure capace di riempire le quasi tre ore di film. La forza della pellicola sta tutta qui: nel trasferimento a fior di pelle di qualsiasi emozione, di tutti i sentimenti. Quello di Adele è un amore costruito sulla fisicità d'un corpo attoriale che compie un lavoro estenuante e logorante su se stesso, rivelandosi per quello che è.

 

video-recensione-la-vita-di-adeleUn amore fatto di respiri e lacrime, fluidi e sudore, sangue alla testa e pulsioni elementari. Il film è abilissimo nell'evitare una serie di luoghi comuni legati da un lato alle storie di ambito omosessuale (dove si cade spesso o nella macchietta o nel melodramma: ed è proprio in questa "banalizzazione" che risiede il vero messaggio politico del film, se davvero bisogna cercarne uno), dall'altro alla costruzione classica d'una qualsiasi love story che il cinema medio tende a sublimare con ostentata quanto posticcia poesia del sentimento. La vita di Adele è tutt'altro: cinema dei sentimenti espressi da corpi in perenne tensione sessuale, e sta qui il vero erotismo del film, oltre le lunghe ed esplicite scene di sesso: risiede nell'aver caricato di una ferina sensualità ogni piccolo gesto, ogni sfumatura della banalità del quotidiano (dal dormire al mangiare: mai vista tanta sensuale voracità nell'addentare un kebab). Tutto merito di una regia che è consapevole di sconfinare spesso in una sorta di voyeurismo più o meno consapevole (ma difficilmente trasferibile allo spettatore), ma è conscia che quella però è l'unica strada per raggiungere i propri scopi: la rappresentazione di una passione totalizzante.

 

a-vita-di-adele-lea-seydouxCome in "Le due inglesi" di Truffaut l'amore non ha nulla di poetico o di banalmente "cinematografico" (qui sta il grande merito di Kechiche), ma trasuda dai corpi tesi dagli spasmi violenti, sgorga dalle lacrime, dalla saliva, dal muco e dagli umori dei fisici. Nessuna concessione è fatta alla libido dello spettatore (maschio), anche nelle scene più spinte (crude e "presenti" e allo stesso tempo assai coreografate, in netto scarto con lo stile semidocumentarustico di gran parte del film), che irrompono nella loro diretta e nuda brutalità, senza filtro ma mai pornografiche, proprio perché per nulla ammiccanti. Un film insomma che dimostra come in amore, e nella sua  narrazione, nulla sia più importante dell'amore stesso. Il film è in fondo anche un romanzo di formazione, nel suo insistere su una serie di cliché tanto cari al cinema francese (la scuola, ma soprattutto i libri), ma questa formazione, e soprattutto questa conoscenza di sé, passa necessariamente attraverso il corpo, filosoficamente inteso come primo (e forse unico) ricettacolo dell'esperienza, e dunque della vita.

 

Luca Verrelli

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