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27 Marzo 2023

Il Grande Freddo Lawrence Kasdan

1983 - Columbia

Regia di Lawrence Kasdan. Un film con Tom Berenger, Glenn Close, William Hurt, Jeff Goldblum, Kevin Kline, Kevin Costner. Titolo originale: The Big Chill. Genere Commedia - USA, 1983, durata 103 minuti.

Una reunion tra vecchi compagni di studi, a distanza di anni dalla condivisione di libri e sogni, è una delle occasioni più propizie per tracciare un bilancio delle proprie esistenze, per fare i conti con il sé del passato e del presente, per riflettere su ciò che è stato e su ciò che avrebbe potuto essere. Un’opportunità ancora più ghiotta per uno spaccato della generazione che ha combattuto - in prima linea - per la rivoluzione sessantottina, ma che ha successivamente tradito i sogni di gioventù, trasformandosi in quelle figure borghesi che aveva sempre giurato di osteggiare. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, la società occidentale si ritrova ad analizzare quel che resta di un’utopia. La chimera della forte collettività è sempre più indistinta all’orizzonte, annebbiata dal trionfo dell’individualismo. Un disagio esistenziale intercettato dall’opera di numerosi cineasti, tra cui spicca l’ironia amara di un esordiente Nanni Moretti.

Lawrence Kasdan, al secondo lungometraggio dopo il valido noir “Brivido Caldo”, indaga sui turbamenti post-sessantottini adunando sette amici ultratrentenni, accomunati dall’antica militanza studentesca, dai tempi in cui la proprietà era considerata un furto. “Il Grande Freddo”, invero, non rappresenta il film pioniere del format cinematografico: tre anni prima, il regista indipendente John Sayles dà alla luce “Return Of The Seacasus 7”, brillante opera a basso costo che, prima facie, presenta numerose analogie con la pellicola kasdaniana. La mano dell’autore di Miami, però, è ben percepibile, e le sporadiche insinuazioni di plagio - insorte all’indomani dell’uscita del film - rimangono senza seguito (nonché fermamente respinte dal regista). Il suicidio di un componente essenziale del gruppo di amici, nelle battute iniziali del film, è il vero plot point della sceneggiatura. Benché il compianto Alex non appaia in alcuna scena (per precisa scelta autoriale di eliminare i flash-back), ogni fotogramma del film è ammantato dalla sua presenza. Le ragioni dell’estremo gesto rimangono ignote. Forse quell’atto raffigura tragicamente il crepuscolo di una generazione. Una presa di coscienza, da parte dell’anima più pura del sodalizio, di un’ineluttabile contaminazione alla quale non intende rassegnarsi. Il funerale di Alex è la drammatica occasione per il ritrovo dei compagni di college. Ognuno di loro ha un lavoro prestigioso e un ranking sociale invidiabile. Pur non rinnegando il passato, il gruppo sembra ricordare le lotte sessantottine come un sogno poco aderente con la vita reale, come un fermento adolescenziale raffreddato dalla crescita. Nient’altro che un bel ricordo da custodire con nostalgia. Forse l’amara rassegnazione all’impossibilità di imprimere un reale cambiamento al mondo, forse una pavida giustificazione dell’incapacità di rinunciare allo status acquisito dopo la laurea.

E così il grande freddo potrebbe assurgere a metafora delle intemperie che congelano il fuoco ingannatore delle rivoluzioni. Soltanto Nick, un reduce dal Vietnam estremamente provato dall’esperienza bellica, sembra pregno di collera verso la comunità sorta sulle macerie del Sessantotto. Rimprovera aspramente se stesso e gli altri. Per questo appare il più infelice, e – soprattutto - il più inadatto alla vita. Il contesto politico-sociale fa da sfondo ai rapporti umani che legano i membri della congregazione, uniti da una mirabile complicità a dispetto dei lustri trascorsi a distanza. I giorni passati insieme permettono ai sette di riscoprire gli angoli reconditi della loro amicizia, di affrontare verità seppellite o mai affiorate, di creare nuove dinamiche che potrebbero stravolgere gli equilibri raggiunti. Emozioni che rimangono nei posteri o che sfioriscono al termine della rimpatriata. Ma il calore che promana dalla loro unione sembra l’unico vero antidoto al grande freddo dei compromessi delle loro esistenze, e del tempo che scorre inesorabile. Così, Nick potrebbe trovare la sua dimensione portando avanti la missione incompiuta di Alex. In maniera diversa, più in linea con i dettami di un mondo poco avvezzo ai cambiamenti. Di una vita che, nonostante tutto, regala parecchi motivi per essere vissuta. A dispetto dell’esiguo numero di premi ricevuti (in particolare, nessun Oscar assegnato), “Il Grande Freddo”, nel corso degli anni, riesce ad ottenere un posto nell’Olimpo della Settima Arte, e viene unanimemente considerato un cult movie degli anni Ottanta.

Con quest’opera, Lawrence Kasdan – già affermato sceneggiatore di “Indiana Jones” e “Guerre Stellari” – rivela al mondo il suo talento da regista, ulteriormente consacrato, cinque anni dopo, dalla direzione di “Turista Per Caso”. Un film trampolino di lancio per molti degli straordinari componenti del cast attoriale: da Kevin Kline a Glenn Close, da William Hurt a Tom Berenger, interpreti destinati a una carriera densa di successi. Come ogni opera influente, “Il Grande Freddo” diviene fonte di ispirazione per altri autori, e oggetto di richiami e omaggi da parte di successivi prodotti artistici. Tra gli altri, particolarmente degno di nota è il film “Compagni Di Scuola”, con cui Carlo Verdone prova a contestualizzare nel Bel Paese alcuni temi kasdaniani, al netto dei riflessi politico-sociali. Lo stesso Kasdan, nel 1991, riprende lo sguardo critico verso la società americana figlia della generazione sessantottina, colpevole di aver smarrito quei valori che avrebbe dovuto interiorizzare, nel suo “Grand Canyon – Il Cuore Della Città”. “Il Grande Freddo” è un’opera che non riesce ad invecchiare. Gli amanti della Settima Arte – che abbiano o meno vissuto l’epocale contestazione - continuerebbero a rivedere ogni sequenza in eterno, lasciandosi cullare dalle note di I Heard Tt Through The Grapevine. Sperando, forse, di scorgere in qualcuno dei fantastici sette una fiammella di indomita speranza, una reviviscenza del sogno che riesca a mitigare quell’inevitabile resa dal sapore amaro.

 

 

Alessio Fugazzotto

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