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5 Agosto 2018

Hereditary (Le radici del male) Ari Aster

Stati Uniti - Uscita Sale Italiane: 25 Luglio 2018

Cast: Toni Collette, Gabriel Byrne, Alex Wolff, Milly Shapiro, Ann Dowd, Mallory Bechtel, Zachary Arthur - Genere: Horror - Produttori: Lars Knudsen, Kevin Scott Frakes, Buddy Patrick - Distribuzione: Key Films/Lucky Red - Durata: 127′ 

 

 

hereditary images

Tutte le famiglie felici si assomigliano; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”, diceva Tolstoj nel suo "Anna Karenina", inconsapevole che questo suo incipit avrebbe descritto tanta cinematografia successiva: perché la famiglia è il nucleo fondante della società, ed è dentro di lei che si nascondono le paure più ataviche e gli abissi più profondi. Nonché le infelicità come verità assolute, che assumono di volta in volta le sembianze di un mostro deforme mai uguale a se stesso. Il film dell’esordiente Ari Aster sorprende e lascia senza fiato (anche) per la capacità di inserire tutto questo in una cornice horror coraggiosa e spiazzante: niente, in "Hereditary (Le radici del male)" è come sembra, mentre tutto l’impianto - stilistico, visivo, recitativo, narrativo - è un continuo attorcigliamento, un detour che conduce lentamente lo spettatore verso luoghi inaspettati, nascosti e oscuri. Certo, avrà giocato un ruolo non indifferente la circostanza per cui quanto narrato è parzialmente ispirato ad un biografiamo laterale, perché leggenda vuole che proprio Aster abbia dovuto affrontare diverse sciagure famigliari che gli hanno poi ispirato l’agghiacciante racconto che mette in scena nella sua opera prima.

 

La trama

 

L’angoscia e il senso di pericolo imminente descrivono Hereditary, cogliendone lo spirito profondo e il nucleo vibrante: sentimenti vorticosi che poi vengono tradotti in narrazione attraverso la comoda cornice dell’horror (che si sa, meglio di ogni altro genere riesce a catturare le nostre inquietudini più profonde, sociali, culturali e psicologiche) che però si diluisce in quello che sembra in tutto e per tutto un dramma familiare. Annie e Stevehereditary-le-radici-del-male-2018-ari-aster-recensione-cov932-932x460 hanno due figli, Peter (Alex Wolff, foto sotto a destra) e Charlie (Milly Shapiro, foto sotto a sinistra): il film apre con il funerale della nonna materna, donna oscura e piena di segreti. Da questo buco nero emotivo inizia a dipanarsi il lento scivolare nell’incubo: e quando sembra chiaro che una sorta di tara genetica affligga il sangue di queste persone, ecco che il Male si svela in tutta la sua possanza. Segni e segnali, dubbi e piccoli squarci: il film di Aster parla per suggerimenti, inquietudini velate e sottili, piccoli indizi disseminati lungo il percorso - emotivamente faticoso e distruttivo - che trovano l’esatta e perfetta quadratura nel momento in cui ogni segmento si incastra con l’altro quando le ombre mostrano la loro luce demoniaca.

 

Precedenti e influenze

 

HereditaryC’è tanto, tantissimo cinema in quest’opera prima coraggiosa ed esplosiva: a partire dal capostipite del genere, Roman Polanski, con gli irrinunciabili "Rosemary’s Baby" e "Repulsion". Ma Aster fa sua la lezione e reinventa le coordinate, elevando gli stilemi dell’horror a qualcosa di superiore, rendendo Hereditary un instant cult, un classico immediato. La variazione sul tema diventa allora il tema, e ogni particolare della storia assume un’importanza preponderante mentre la tensione cresce costruita con suggestioni e fremiti sotterranei (una seconda visione del film aiuta a cogliere meglio un mondo sommerso di allusioni, impossibili da cogliere all’inizio). Ma è proprio nel suo essere profondamente, prorompentemente cinematografico e cinefilo che 11-hereditary.w710.h473il film diventa enorme: guardando al passato e inserendosi nel presente con uno sguardo al futuro. E per questo vicino ideologicamente ad altri capolavori contemporanei come "Lords Of Salem" di Rob Zombie, "The VVitch" di Robert Eggers, o "Get Out" di Jordan Peele: Hereditary edifica la sua costruzione sulla paranoia sociale che si innesta sulla psicopatologia personale, chiedendo poi nel finale (immaginifico, sublime, potentissimo, affascinante e terrificante) uno sforzo intellettuale che lo premia rendendolo uno dei migliori sunti orrorifici di fine millennio.

 

Il regista

 

Indagando sul potere della suggestione, studiando l’orrore nelle sue radici elementari, mostrando il Male nella sua ineffabile, irriproducibile e spaventosa supremazia, l’esordio alla regia del giovanissimo Ari Aster (classe 1986) dimostra classe e decisione, e senza indugiare su nulla sbatte in faccia allo spettatore la follia e la lucidità dell’Oscurità. Insieme a questo tema portante, la sfaccettata bellezza di questo horror di stagione può contare su numerosissimi altri sottotesti, che corrono paralleli ma ugualmente importanti al principale, "Hereditary"e che contribuiscono a rendere la storia tridimensionale e affascinante: l’ereditarietà, prima di tutto (artistica, ma anche patologica) con un genetismo inesorabile quanto spaventoso; la capacità di alludere senza spiegare, di creare un monumento che sembra fondarsi sulla confusione e invece trova la sua esatta simmetria solo nel finale (tanti dialoghi fra la piccola Charlie e la mamma, il simbolo di Paimon replicato più volte e nei luoghi più impensati, l’apparentemente inspiegabile volontà di Annie di tenere lontano dalla nonna il primogenito Peter); la decapitazione, auto-inflitta, provocata ad altri e accaduta per “errore”.

 

Dalla letteratura russa ai classici greci

 

L’assonanza è -questa sì, casuale e incidentale ma probabilmente non meno importante- con un altro capolavoro di questi giorni, "The Killing of A Sacred Deer" (da noi "Il lSacrificio Del Cervo Sacro") di Lanthimos: a partire dall’utilizzo, perfettamente logico e consequenziale, della tragedia euripidea "Ifigenia In Aulide". In tutti e tre è centrale e fondamentale l’ineluttabilità del sacrificio, la disperazione nel constatare che i propri figli debbano essere immolati sull’altare di un fato già scritto. Ottima ed esemplificativa la sequenza dove un insegnante di Peter, poco prima che il ragazzo cada preda di un’improvvisa e “infernale” disattenzione, chiede alla classe se è più tragico che sia un personaggio a provocare la propria rovina o che la sua sorte sia già scritta per lui senza possibilità di modificarla. L’horror come nuova tragedia greca, specchio della disastrosa rovina dell’essere umano.

 

Gli attori

 

byrneL’onore per l’ottimo risultato va tributato anche ad un cast superbo: da Alex Wolff a Gabriel Byrne (nella foto), per finire con una insuperabile Toni Collette (nella seconda foto su a destra), già premio Oscar per "The Sixth Sense" e che probabilmente ha messo a frutto la sua indimenticabile performance nel serial, bello e ingiustamente dimenticato "United States Of Tara", nel quale era centrale il disturbo dissociativo di personalità. Un’opera capace di generare terrore Hereditary, certo: ma anche una suggestione, potentissima, che instaura e instilla uno stato di paura indefinita, di angoscia soffusa, che avvolge e non si esaurisce con la fine del buio in sala. 


GianLorenzo Franzì

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