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10 Febbraio 2019

Capri-Revolution Mario Martone

2018 - Italia-Francia

- Soundtrack Stars Award 2018 per la migliore colonna sonora

- Premio Francesco Pasinetti (miglior film Venezia 2018) del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani

 

Nelle sale dal 20 dicembre 2018 - Sceneggiatura: Mario Martone, Ippolita Di Majo – Fotografia: Michele D'Attanasio – Scenografia: Giancarlo Muselli – Coreografie: Raffaella Giordano – Montaggio: Jacopo Quadri, Natalie Cristiani – Musica: Apparat (Sascha Ring), Philipp Thimm - Cast: Marianna Fontana, Reinout Scholten van Aschat, Antonio Folletto, Gianluca Di Gennaro, Eduardo Scarpetta (II), Jenna Thiam, Ludovico Girardello, Lola Klamroth, Maximilian Dirr, Donatella Finocchiaro, Ludovico Girardello, Sascha Ring, Philipp Thimm, Rinat Khismatouline, Yannick Noomen - Genere: Drammatico – Distribuzione: 01 Distribution – Durata: 122 minuti.     

 

capri54892Capri-Revolution è un dardo lanciato verso il futuro. Parte da una piccola isola, Capri, fuori dal mondo un secolo fa, e si proietta verso l’orizzonte, passando sulle nostre teste, facendoci girare a guardare oltre il nostro presente, con un balzo che oltrepassa l’intero Novecento. A guardare, tutti insieme, quell’incerto orizzonte futuro, negli occhi e nella mente l’idea da cui veniamo: la libertà. Un’idea non risolta, non ancora. E oggi più che mai in pericolo. Da qui l’urgenza di riprendere il filo rosso del suo dipanarsi, le premesse con cui essa s’è affacciata alle soglie della prima guerra mondiale, cercando di capire su cosa si sia arenata.

 

 

Un film ideologico, a tesi

capri batterieCapri-Revolution” è un film a tesi. Questo il suo pregio, ma anche il suo grande limite. Come un arco teso, pronto a scoccare, il film fa prefigurare in nuce tutti gli sviluppi cui il cosiddetto ‘secolo breve’ (il ‘900) porterà le sue premesse. Lo fa adottando una struttura didascalica, dove ogni personaggio rappresenta un’ideologia. Girato meravigliosamente en plein air (la fotografia è di Michele D'Attanasio, forse alla sua prova più significativa dopo "Jeeg Robot", "Veloce come il vento", tre episodi della serie "Gomorra" e in Puglia "In grazia di Dio", di Edoardo Winspeare e gran parte dei film di Pippo 2 - IlMiracolo_Rossellini_AnnaMagnaniMezzapesa), il film non riesce a far sentire proprio quell’alito di libertà di cui ci vuole dire, ma non raccontare. Chiuso in una cura eccessiva per la fotografia e una ricerca d’iconicità nel casting, con corpi scultorei da una parte e caratterizzazioni prive di sorpresa dall’altra, il film di Mario Martone non può e non vuole lasciarsi andare, e cerca in ogni quadro d’essere compiuto e rappresentativo. Nessun afflato iconoclasta rosselliniano, come in quel “Il Miracolo” con Anna Magnani e Federico Fellini a cui il film vuole alludere. V’è, al 4 - IlMiracolo_Incontrocontrario, una ricercata iconodulia, sino alla compiuta raffigurazione di un miracolo, quello del volo per levitazione della protagonista, sui faraglioni di Capri. Perché il didascalismo funzioni occorre che a farne l’esperienza sia un corpo e una mente vergine, fuori dal tempo e dalla storia. Lei è il vento di libertà nel film, lo è nel personaggio, ma per quanto le è stato possibile anche nella sua interpretazione. Quella di Marianna Fontana, che si conferma, dopo “Indivisibili” di Edoardo De Angelis (2016), una delle più belle sorprese del cinema italiano degli ultimi anni. Con straordinaria semplicità racconta d’essersi preparata al ruolo mungendo capre per mesi, e testimonia 3 - Capri-revolution_Incontropienamente fatica e bellezza di girare un film quasi tutto in esterni e in una location difficile. Quelle di San Mauro Cilento e Camerota, dove grazie alla maestria di Giancarlo Muselli (per Martone una collaborazione artistica di lunga data, sin dal suo primo, Morte di un matematico napoletano) si è ricostruita una Capri ormai perduta.

 

La storia della Storia
Lucia (Marianna Fontana)
è una giovane capraia analfabeta. Come le sua capre, sa inerpicarsi sui ripidi pendii dell’isola. Zone pericolose, non solo perché selvagge e a strapiombo sul mare, ma perché, come le dicono i due fratelli (Gianluca Di Gennarocapri batterie ed Eduardo Scarpetta II), abitate dal Diavolo. Lucia, in realtà, il Diavolo l’ha spiato diverse volte, mentre si offre nudo al tramonto con i suoi adepti, uomini e donne. Si tratta di una comunità naturista e vegetariana riunitasi intorno ad un pittore, Seybu (interpretato dall’olandese Reinout Scholten van Aschat, con una esperienza per lo più televisiva). Vengono tutti dal nord Europa e vivono in una Comune, fondata su regole nuove. Un nucleo di società alternativa. Lucia ha appena perso il padre e non sopporta che siano i fratelli ora a volerle imporre regole e costumi patriarcali. Loro dicono che quell’isola è maledetta, che nella sua metà selvaggia s’insediano pazzi e gente senza Dio. Ma Lucia è curiosa e assapora quel vento di libertà. Affronterà il Diavolo e ne nascerà Capri-Revolution_Seybu_Lucia_2un reciproco gioco di seduzione che la porterà a far parte di quella Comune e a essere ripudiata dalla famiglia e dal paese. Nel frattempo era arrivato a Capri un giovane medico di base (Antonio Folletto), che, novità assoluta, cura le persone senza farsi pagare. Paga lo Stato. Il medico ha tentato di salvare il padre e ha visto in Lucia quella determinazione che in tutto il mondo sta portando le classi subalterne verso gli ideali del socialismo. Un socialismo fatto di razionalità e culto della modernità. Lui non ha pregiudizi verso quei comunardi sull’isola, ma non ne condivide le idee romantiche e le pratiche misticheggianti. Questo trasforma Lucia in un oggetto conteso tra due idee di liberazione, tra loro in competizione. In quella naturista della Comune appare improvvisa la deriva 6 - Capri-Revolution_Seybu_e_Carlo_I_Rivalifascista, con riti sacrificali neopagani (Maxilian Dirr, attore tedesco naturalizzato italiano e Jenna Thiam, nel ruolo della fragile Lilian). Ne nascerà una violenta rottura e una espulsione dal gruppo che non basterà a sanare il conflitto interno tra chi vuole nuove regole e chi non ne vuole alcuna. Intanto l’ideologia del progresso moderno e socialista si piega alla razionalità di Stato e sposa la causa di una guerra mondiale, ormai giunta alle porte dell’Italia e con lei della piccola Capri. I fratelli di Lucia partono soldati e il medico vuole convincere Lucia a diventare una brava infermiera. Lei preferirà il pacifismo di Seybu, ma tornata alla 7 - Coreografia PalcoscenicoComune scoprirà che anche loro, dopo aver visto crescere al loro interno il mostro fascista, hanno deciso di mettersi delle regole e organizzarsi. Lucia lo vivrà come un tradimento e abbandonerà tutti per migrare in America. Prima di lasciarli, una delle leader della Comune, Nina (Lola Klamroth), la prima ad accorgersi della deriva totalitaria, le dice forse la battuta chiave di tutto il film, che il mondo sta correndo verso la guerra, ed è giunto il momento di proporre anche loro una Forma, una organizzazione. La forma è quella dello spettacolo teatrale, prima lasciato a una danza senza regole e luogo (foto sopra a sinistra), senza palcoscenico, Capri-Revolution_Seybu_Luciasenza attori e pubblico e in simbiosi con la natura. Il messaggio di Martone è saldo e ambizioso: tutte le forme politiche e sociali che il ‘900 ha sperimentato sono fallite; l’Europa è il luogo dove sono state ideate. La fuga verso l’America, come luogo oltre, come terra promessa, come frontiera vergine, resta confinata in una condizione individuale, la cui istanza di libertà è altresì irrinunciabile. Anche per questo, la donna, e la sua necessità di slegare quel rapporto di sottomissione insito tra sesso e genere, resta la cartina di tornasole per ogni società che voglia coniugare tra loro forme sociali, collettività, e libertà della persona. Martone sembra volerci dire che di una Forma politica e sociale resta attuale la necessità, a patto che sappia conservare intatta la libertà e non pretenda di essere assoluta. Come vuole Lucia: che non trasformi il potere in Palcolscenico, e lo lasci invece fluire come performance.

 

Il teatro come metafora del Potere e la collaborazione con Apparat

Abbiamo detto che non vi è realismo, ma messa in scena. Non vi è nemmeno una ricostruzione storica. In entrambi i casi Martone sceglie di camminare sul filo del rasoio. La messa in scena, quelli dei comunardi di Seybu, diventa metafora del Palco della Storia. Loro stessi vivono la performance come gesto politico, teatro del vivere, potere trasformativo del teatro, teatro come potere. Mario Martone costruisce per questo un set nel set, una sorta di teatro danza affidato alle coreografie di un’allieva di Pina Bausch, Raffaella Giordano (KontakthofBlaubart, e Le Sacre du Printemps, diventando dopo protagonista della scena italiana con la Compagnia Sosta Palmizi) giunta al cinema con il ruolo della madre di Leopardi nel precedente film di Martone, “Il Giovane Favoloso” (per poi vincere con “L’Intrusa” il premio Nuovo IMAIE al BiFest come migliore attrice rivelazione). 8 - Capri-Revolution_SaschaRing_PhilippThimmA completare il set chiama anche i due musicisti, Sascha Ring e Philipp Thimm (nella foto), non solo perché ne siano anche loro parte, ma a preparare gli altri attori a essere musicisti, oltre che danzatori. Nasce così una colonna sonora registrata in presa diretta, con improvvisazioni basate su una sola linea melodica composta da Philipp Thimm. Per la prima volta le musiche siglate Apparat di Sascha Ring non si limitano a essere prestate (“Breaking Bed”, la meno fortunata serie tedesca “Dark e lo stesso Martone con “Il Giovane favoloso”) ma diventano corpo del film. Anche per questo la colonna sonora non poteva passare inosservata e gli è stata assegnata il Soundtrack Stars Award 2018, scelto tra i film in visione alla Mostra del Cinema di Venezia.

 

Un insidioso autobiografismo

Per quanto studiata l’operazione è per Martone molto sincera, mosso da un sano sentimento di nostalgia delle sue origini, quel “terzo teatro” (la compagnia teatrale Falso Movimento, nata a Napoli nel 1979) che, negli anni ottanta del post-punk, voleva farsi erede sia delle avanguardie storiche del primo novecento sia della seconda stagione di avanguardie della performing art, come il Living Theatre. Ed è richiamando due di queste esperienze che il regista costruisce il personaggio di Seybu. La vicenda storica è quella del pittore simbolista a cui è dedicato un Museo nella Certosa di San Giacomo di Capri, Karl Wilhelm Diefenbach. Il nome invece è l’anagramma di Joseph Beuys, capri batterielo scultore performer che forse più di tutti ha lasciato il Segno nell’arte contemporanea, nella seconda metà del secolo scorso. Con la figura di Seybu, Martone sembra voler creare un filo rosso tra i due artisti, che in comune hanno sicuramente l’impeto rivoluzionario, l’attenzione alla natura e una parziale adesione alla teosofia. Del primo volutamente non si vedono i quadri, ma si evoca esplicitamente l’esperienza storica che lo vide arrivare a Capri intorno al 1900 con la sua Comune fondata a Vienna nel 1897. Joseph Beuys è invece bagaglio personale di Martone, avendo l’artista tedesco (di stanza alla Kunstakademie di Düsseldorf) diverse volte frequentato Napoli, in particolare quella Galleria di Lucio Amelio, per la quale nel 1985 realizzò Capri-Batterie, una scultura con 9 - Joseph-Beuys-Capri-Batterie-1985una lampadina gialla che prende corrente da un limone. "Capri-Batterie"  doveva essere il titolo originale del film e Martone fa fare a Seybu-Diefenbach un ready made dell’opera. In seguito ha cambiato il titolo del film, mettendo in bocca a Seybu un’altra opera di Beuys, La rivoluzione siamo noi, che citava a sua volta il famoso quadro Il quarto stato. Ed è in questo confronto con la tradizione socialista che il gioco con l’autobiografismo delle proprie esperienze si fa rischioso. I dialoghi tra Seybu e Carlo, il medico socialista, sembrano più proiezioni di scontri tra sinistra storica ed estremisti post-'68. Si perde così una ghiotta occasione di sincretismo storico realmente accaduto. Perché negli stessi anni in cui Diefenbach popola l’isola con i suoi proto ecologisti nudisti, Capri divenne la sede di un’esperienza unica e singolare, la Scuola di formazione politica per operai e intellettuali bolscevichi, istituita dal Partito russo nel 1909 ad opera diMaksimGorkij_Capri Aleksandr Bogdanov, il rivale principale di Lenin nel nascente partito comunista russo, e Maksim Gor'kij, padre indiscusso del realismo socialista. I bolscevichi venuti da Mosca si chiedevano cosa ci facessero su quello scoglio nel mediterraneo (nella foto), a prendere lezione su come tenere comizi nella Russia che correva verso la rivoluzione. Lenin stesso fece visita ai due promotori della Scuola e sono note le sue foto su un terrazzino di Capri mentre gioca a scacchi con loro due (foto sotto a destra). Materia tutt’altro che priva di fascinazioni anche teatrali. Gor’kij deve la sua fortuna alla messa in scena, nel 1902 a Mosca, de L’Albergo dei poveri per opera 11 - Lenin-playing-chess-with-Bogdanov-dello stesso Gentian Stanislavskij (quello del Metodo a cui si ispira l’Actor’s Studio americano). Lo scrittore bolscevico soggiornò a Capri sino al 1913 (stesso anno in cui muore Diefernbach), insieme alla moglie, la famosa e irruente attrice Marija Fedorovna Andreeva. A confronto la figura di Carlo, il medico di base portatore degli ideali socialisti, ma interventista, è davvero troppo piccola per reggere il confronto. Il socialismo rivoluzionario era tutt’altro che interventista, ma di certo non erano nemmeno pacifisti. Martone deve aver preferito semplificare. Nei crediti del film risulta esserci Rinat Khismatouline (in Italia dal 2001 ma nato e formatosi come attore in Russia) nel ruolo di Maksim Gor'kij, ma o ci siamo distratti, tanto era ridotto a semplice figurazione, o Martone ci ha rinunciato volendo gettare lo sguardo oltre la siepe.

 

Filosofia leopardiana, una trilogia (inter)nazionale

La siepe è quella di Leopardi (e coincidenza vuole che il film di Martone sia coinciso con il centenario de L’Infinito). Un incontro importante per Martone, favorito dalla collaborazione con la sua compagna, Ippolita di Majo (insieme nella foto a sinistra),  autrice anche della sceneggiatura sia di questo, sia del precedente film sul poeta di Recanati. Sposata nel 2011, aveva già collaborato con 13 - Mario_Martone_Ippolita_Di_Majoil regista nelle ricerche musicali e iconografiche per “Noi credevamo” (2010). La sua figura è quindi al centro di questa trilogia di ‘fiction patrimoniale’ (quei film che rievocano un patrimonio storico, una memoria collettiva) sulla ‘nascita di una Nazione’ (citando non a caso il film del 1915, un classico oggi considerato l’antesignano di questo genere). È proprio lavorando con lei al primo dei tre film, quello sul Risorgimento italiano, che nasce l’interesse per Leopardi. Di seguito sarà lei a curare per Martone nel 2011 la riduzione teatrale delle Operette Morali nel, per poi avviarsi alla scrittura della sceneggiatura per il film biografico. Ed è nella poesia La Ginestra o il fiore del deserto, capri-revolution-MariannaFontanascritta sulle pendici del Vesuvio, a conclusione del periodo napoletano e con esso della sua vita, che possiamo ritrovare quel filo rosso che lega e chiude la trilogia. Ci sarebbe da discutere sul voler conciliare il nichilismo leopardiano con gli ideali di liberazione e di riconciliazione con la Natura. Questa è tutt’altro che liberatrice in Leopardi, ed è un limite insuperabile, quanto inutile qualsiasi ottimistico antropocentrismo che pensa di poterla conciliare con la nostra felicità. Per misurarne la sua ‘ignea forza’ Seybu e i suoi seguaci costruiscono tra gli alberi sculture capaci di rivelarne l’esplosione. Una Capri-Revolution_Postermetafora della guerra in arrivo, l’avviso che non c’è Progresso che possa illudersi di vincere per sempre il destino tragico umano. Un invito a evitare ogni ingegneria sociale di radiosi avvenire (quelle forme che fanno del potere un Palcoscenico), e commisurare tutto alla libertà, uomo per uomo. La solidarietà sociale, il fare fronte comune, resta l’unica filosofia politica positiva. Un messaggio con cui Martone ha tentato di attualizzare la trilogia, proiettandola sul nostro presente e andando oltre i confini nazionali, pur restandovi dentro.

 

Angelo Amoroso d’Aragona

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