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15 Marzo 2012 , ,

Eddy Current Suppression Ring MARCIANDO ALL’UNISONO

2012

Tutto comincia quando nel 2003 quattro colleghi in un laboratorio di stampaggio vinili improvvisano una jam occasionale all’interno dello stabilimento stesso, proprio la vigilia di Natale. L’entusiasmo dei presenti li convince che quella che sarebbe dovuta rimanere una goliardica improvvisazione ha invece ragione di consolidarsi in un progetto ufficiale. Da quel momento, scelto il nome di Eddy Current Suppression Ring intraprendono il loro cammino facendosi strada con tre singoli pubblicati per la Corduroy, nota etichetta australiana, seguiti da un album omonimo nel 2006. Sebbene il loro sound rimandi a una matrice inequivocabilmente garage punk, una lista interminabile di nomi vengono chiamati in causa per individuare i punti in comune con il loro stile: Wire, Can, Television, Stooges, The Fall, Ultravox, Radio Birdman, Mission of Burma, Fugazi, Troggs a riprova di quanto, pur suonando piuttosto familiari, risultino di difficile collocazione. Le esibizioni infuocate del gruppo, il modo piuttosto singolare e carismatico che Brendan ha di presentarsi, con guanti di pelle e quelle movenze frenetiche che ricordano tanto Ian Curtis, fanno breccia nel cuore di un sempre più ampio seguito. Così come particolare è anche la scelta delle cover che passa dai Chosen Few, alle Go Go’s, dai Pagans a una versione di Prisencolinensinainciusol di Adriano Celentano, che eseguita ai loro concerti manda il pubblico fuori di testa.

 

Con Get up morning danno il loro buongiorno al mondo, con quello che sarà il loro primo singolo nonché il brano che aprirà il primo album. Gli elementi distintivi sono già tutti presenti in quella registrazione asciutta e diretta con il cantato di Brendan Suppression che incalza in un crescendo di tensione trattenuta ma sempre sul punto di esplodere, fino allo stacco che la separa dalla seconda parte breve e liberatoria. Gli altri due brani della B-side, You don’t care e So many things decisamente più ‘wave’ allargano lo spettro sonoro lasciando intendere che i ragazzi non amano essere inquadrati in rigidi scomparti stilistici. In So many things è protagonista una tastiera acida e distorta che sovrasta la parte vocale consistente in un parlato sconnesso, che naufraga in atmosfere quasi Kraftwerkiane.

 

L’anno seguente, siamo nel 2005, un secondo singolo (It’s all square/Precious rose) sempre per la Corduroy e l’esibizione per l’apertura del Meredith Music Festival (presenti tra gli altri, Wolfmother, Stephen Malkmus and the Jicks, Billy Childish, Okkervill River) fanno girare il loro nome anche al di fuori del vecchio continente creando una certa aspettativa per il debutto ufficiale che non tarderà ad arrivare, questa volta per la Dropkicks Records. L’album non tradisce, anzi mantiene decisamente le promesse, snocciolando 11 brani tra cui vengono riproposte anche le due tracce del singolo precedente. L’energia vitale qui si fa più complessa ed emozionale, le sonorità abrasive ma ordinate fanno da sfondo all’accanimento vocale in uno stile che riaccende lo spirito punk HC statunitense degli anni 80. Quello che più sorprende ascoltando Pitch a tent, Do my thing, Cool ice cream, é la difficoltà ad assegnare loro una collocazione temporale, tanto sono capaci di travalicare le convenzioni di quasi due decenni.

 

Gli ECSR a questo punto sono ormai una piccola leggenda locale intorno alla quale si sviluppa a poco a poco una scena ‘Melbourniana’ (documentata nella pellicola “Sticky Carpet” di Mark Butcher) di nomi più o meno noti come Witch Hats, Deaf Wish, Slug Guts, Super Wild Horses e UV Race (che approderanno alla In The Red solo un paio di anni più tardi), i Total Control altro gruppo del chitarrista ‘Eddy Current’ (all’ anagrafe Mikey Young), fino ai più recenti The Twerps. Nel 2008 vincono l’Australian Music Prize con un premio di 30.000 dollari, che preferiscono investire, anziché in costosi studi di registrazione, in un viaggio negli Stati Uniti dove grazie all’interessamento della Goner Records, che li inserirà anche nel palinsesto del consueto appuntamento annuale del Gonerfest, distribuiranno il loro secondo album “Primary Colours” e il successivo “Rush to relax” due anni dopo.

 

Accompagnato dalla leggenda che vuole sia stato registrato in sole sei ore, “Primary Colours” esce proprio in quell’anno pubblicato dall’australiana Aarght! Records. Questo secondo lavoro mantiene l’ampiezza di vedute, l’ispirazione é sempre viva e accesa e una qualità di registrazione più curata favorisce la messa a fuoco. Ecco i singulti ritmici di Sunday’s coming limati da una chitarra stridente, mentre in Wrapped up il canto si concede a una poco più che accennata linea melodica, lo strumentale di That’s inside of me in cui la chitarra é ormai diventata quasi un marchio di fabbrica di stampo ‘Andy Gill’ (Gang of Four). Sempre dagli eighties sembra provenire la tastiera di We’ll be turned on che insieme a You let me be honest with you avevano anticipato l’album in un singolo per la White Denim Records. In definitiva si può considerare un passo avanti rispetto al già valido predecessore. Più tiepida l’accoglienza europea, tanto che “Primary colours” deve la sua uscita in Gran Bretagna alla Melodic, un’etichetta prettamente dance, ma abbastanza arguta da fiutarne il talento. Sempre nello stesso anno esce il 7” per la Iron Lung Demon’s demands/I’m guilty, due brani eccellenti che prendono in parte le distanze da quello a cui ci avevano abituati finora.

 

Sebbene l’attenzione intorno alla band sia alta, loro non sembrano farsene una ragione di vita, concentrando il proprio tempo anche sui side-project personali. Brendan é alle prese con un suo progetto, i Boomgates mentre Eddy Current con i Total Control, i Brain Children, e gli Ooga Boogas band di surf sperimentale. Brendan definisce con parole sue quello che sembra essere un metodo terapeutico per sostentare l’ispirazione del gruppo: “..siamo molto onorati da tanta popolarità, ma a volte mi mette ansia questa cosa, e sarei tentato di fare un passo indietro. Ma questa non è l’unica ragione della nostra ponderatezza. Personalmente mi capitano dei periodi in cui sono a corto di idee riguardo a quel determinato sound, e gli ECSR hanno un suono ben definito. Se non ho molto da aggiungere nello stesso momento mi piace l’idea di potermi dedicare ad altre cose con altre persone e combinazioni che possano ispirarmi nuove idee. Certo, poi so che mi stuferò anche di quello e che tornerò agli ECSR. Credo che sia salutare questa cosa. In questo senso non ci sforziamo di tenere la band sotto i riflettori.”

 

Di fatto prima di dare un seguito al secondogenito, occorrerà aspettare  non meno di un paio di anni, in cui trovano almeno il tempo per pubblicare un altro singolo di soli tre pezzi, in cui si intuisce come i nostri abbiano voglia di giocare con nuove soluzioni. That time of the day flirta con certa attitudine garage meno convenzionale, cara a gruppi come Thee Oh Sees o Dirtbombs segno che le frequentazioni d’oltreoceano  hanno lasciato il segno. It ain’t cheap e Noise in my head risuonano così sixties come mai era successo prima, pur senza rinunciare alle loro sonorità, raggiungendo un risultato davvero interessante.

 

Nel 2010 esce “Rush to Relax” e l’attesa viene ripagata: l’album dai toni appena più pacati riserva delle sorprese; Brendan soprattutto, è come mai prima d’ora intento a sperimentare con soluzioni melodiche come nel caso di I got a feeling, scandita da vorticose rullate di batteria, e più evidenti in I can be a jerk e Burn che ammiccano chiaramente ai Pavement, passione mai nascosta dalla band. Trova pure posto una ballad, seppur spigolosa, come Gentleman tessuta su una trama di chitarra arpeggiata e ipnotica, e non mancano i soliti episodi più dinamici come nel ‘benservito’ dell’iniziale Anxiety o la claustrofobica e serrata Walking into a corner. Un lavoro che ancora una volta va a collocarsi coraggiosamente in diverse angolazioni, e incorporando un’anima indie accetta la sfida di proporsi, soprattutto alle frange più conservatrici del garage-punk, con un genere  per cui ‘indie-rock’ potrebbe essere sinonimo di ‘hipsterismo’ pacchiano.

 

Il 2011 li vede poco propensi alle registrazioni, i ragazzi decidono di dedicarsi ad un’altra delle loro pause di riflessione, alternando apparizioni live a qualche mini pubblicazione meno impegnativa, come la cover di We got the beat delle Go Go’s sull’ep split insieme a Mean Jeans e Jack Oblivians in occasione del Record Day Store e un altro ep, questa volta per la Captcha (misconosciuta etichetta statunitense con un catalogo eterogeneo davvero interessante in cui a fianco degli immancabili Ty Segall, Thee Oh Sees, figurano nomi interessanti come Lazer Crystal, The Perverts, Chandeliers). “Walking in unison”, per la verità nemmeno troppo generoso con i suoi soli tre brani, focalizza la loro capacità di sviluppare libere improvvisazioni plasmando un suono sporco e ruvido su strutture ritmiche rigide ed essenziali ma meticolosamente precise. Un aspetto finora riservato più alle loro esibizioni live che alle produzioni in studio. Questo “Walking in unison” suona infatti più come una registrazione ‘live in studio’, sorvolando su qualche dettaglio in fase di produzione, e puntando tutto sull’impatto emotivo e sull’autenticità. La title-track ossessivamente ripetitiva si mantiene sullo stesso tempo per quasi 10 minuti con il suo crescente e insostenibile carico di ansia. Sulla stessa struttura gli altri due brani Second guessing e I admits my faults, quest’ultima di nuovo sugli otto minuti abbondanti.

 

Sempre alla fine dello scorso anno esce “So many things” che riassume  le varie pubblicazioni ‘minori’, ripescando 22 brani tra singoli e ‘compilation tracks’ dai nove anni di attività della band, concedendo così ancora un po’ di tempo agli ECSR, e nel caso i tre album ufficiali non fossero stati abbastanza eloquenti, ribadisce il concetto. Giostrando come comprensibile tra periodi e qualità di registrazione alterne, questa raccolta offre un ritratto interessante del gruppo, non dispensando forse materiale della produzione migliore ma rappresentando al meglio le loro varie sfaccettature. Una band che nella sua personale rielaborazione del ‘punk-rock’ è riuscita  a mettere d’accordo stampa e lettori, da Maximum Rock’n’Roll a Pitchfork.

 

Federico Porta

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