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8 Maggio 2012 ,

Vintage Rock: Audience LE OCCASIONE PERDUTE

1969-1972

La Storia: gli anni cruciali (1969-1972)

Molte, troppe sono state le band sottovalutate  nella storia del rock, inevitabile che di fronte a successi che almeno negli anni d’oro assumevano dimensioni planetarie, tanti finissero nel dimenticatoio o apprezzati da un piccolo gruppo di appassionati che gelosamente custodivano il loro segreto. Gli Audience conobbero nel corso della loro breve esistenza, dal 1969 al 1972, un momento di notorietà che avrebbe potuto dare una svolta alla loro carriera: nel 1971 quando uscì il loro terzo album “The House On The Hill” sembrava che il successo potesse arridere alla band di Howard Werth, ma le cose non andarono bene e dopo un ultimo disco la band si sciolse e ognuno di loro andrà per la propria strada, una strada poco fortunata fra occasioni mancate e carriere ai margini del grande pubblico. Gli Audience si formano a Londra nel 1969 sulle ceneri della  The Lloyd Alexander Real Estate, una band soul con all’attivo un 45 giri e da cui provengono tre dei quattro membri: Howard Werth, chitarra, molto particolare il suono della sua acustica con corde di nylon, e voce, Keith Gemmell, sax tenore, flauto e clarinetto, e Trevor Willams, basso e voce a cui si aggiunge per completare l’organico il batterista Tony Connor.

 

Una curiosità: fra il 1965 e il 1966, Keith Gemmell fece parte del gruppo beat The Noblemen girando a lungo in Italia e suonando  al Piper di Roma e in altri locali di Milano, Torino e Pisa. I quattro Audience dopo una serie di concerti soprattutto in locali dediti al jazz, firmano un contratto con la Polydor per la quale uscirà il loro primo disco eponimo, opera che passerà praticamente inosservata, mentre la band riscuote un discreto successo nel circuito live, fino ad essere notata al Lyceum di Londra dove suonavano da spalla ai Led Zeppelin, dal boss della Charisma Tony Stratton.Smith, e per quella etichetta registreranno i loro successivi tre lp. La logorante l'attività dal vivo - fanno da spalla a Pink Floyd e Genesis e girano Europa, Australia e Stati Uniti, un tour nel 1971 con i Faces di Rod Stewart - ed il mai raggiunto successo discografico conducono ben presto alla fine la vita della band, dapprima sarà Gemmell a lasciare durante le registrazioni di “Lunch”, infine il definitivo scioglimento dopo una stentata attività live e per i litigi e i dissapori interni. Howard Werth dopo un buon album di rock’n’roll “King Brilliant” a nome di Howard Werth and the Moonbeams prodotto da Gus Dudgeon per la Charisma, si trasferisce ben presto negli Usa, avrebbe dovuto infatti sostituire Jim Morrison nei Doors, ma non se ne farà nulla e il nostro si dedica a vari progetti americani con Ray Manzarek: alcune sue canzoni elaborate con l’ex Doors in questo periodo saranno incluse nel suo album solista “Six of One and a Half Dozen Of The Other”  con musicisti del giro di Captain Beefheart, prima di tornare in patria negli anni ’80 dove realizzerà un altro paio di album solisti.

 

La reunion nel terzo millennio

Keith Gemmell entrerà a far parte degli Stackridge, altra band da riscoprire almeno per l’lp “Friendliness”, imprimendo alla loro musica una svolta black e jazz che la allontanerà dalla psichedelia degli esordi, e poi si dedicherà prevalentemente all’attività di sessionman e alla realizzazione di colonne sonore. Trevor Williams entrerà a far parte dei Jacksons Heights e poi degli Hot Chocolat dove confermerà la sua passione per il soul e il rithm’n’blues. Tony Connor si dedicherà ben presto al lancio della carriera della sua ragazza, Suzy Quatro. Nel 2004, inaspettatamente, ecco la reunion del gruppo con Tony Connor sostituito da John Fisher, inizia così una lunga serie di concerti che li porterà anche nel nostro Paese; sembra quasi una seconda giovinezza, realizzano un bell’album live da un loro fiammeggiante concerto, “Alive & Kickin' & Screamin' & Shoutin' “, perla Eclectic Records che contiene, oltre alle loro migliori canzoni del passato, alcune cover fra le quali una bella versione di I Wanna Be Your Man di Lennon e McCartney. Gemmell darà alle stampe due album solisti, alla morte di Fisher nel 2008 l’attività non si ferma e viene ingaggiato un nuovo batterista, Simon Jeffrey. La storia incredibilmente non ha scritto ancora la parola fine.

 

I Dischi

Nel 1969, ameno di un anno dalla loro formazione, esce il primo eponimo album della band, contiene già gli elementi di forza che caratterizzeranno la loro musica: un sound imperniato sugli intrecci del sax e degli altri fiati di Gemmell in cui si fondono influenze, jazz, swing e folk e la voce di Werth, potente e dalle grandi capacità di modulazione dei toni e nella quale si legge facilmente la sua passione per la musica black, dalla Motown a Ray Charles. Ma si intuisce anche il loro limite, l’eclettismo delle scelte stilistiche e musicali che rischia di trasformarsi in incertezza e debolezza. I dodici brani che compongono l’album denunciano un suono ancora acerbo e una ancora incerta connotazione stilistica, il gruppo sembra cercare una sua strada in cui al momento l’impostazione soul si incontra con il folk e il jazz, il risultato è un disco poco omogeneo, ma che lascia intravedere ottime potenzialità espressive. Ulteriore limite del disco la brevità delle canzoni, spesso sotto i 3 minuti, che penalizza le buone idee qui contenute. Le cose migliori sono la malinconica Poet con il flauto delicato e folk di Gemmell, Heaven Was An Island in cui spiccano le tonalità aggressive e grintose di Werth, qui anche alla chitarra elettrica, una delle poche note rock del disco, e un trascinante solo di sax; il testo rimanda al sogno hippie di un mondo di pace dove 'il cielo è un’isola dove la rabbia è un crimine'.

 

Ed ancora Leave It Issued con il fantastico clarinetto di Werth che disegna malinconiche melodie crepuscolari fra folk, jazz e world - è questo il brano in cui maggiormente si notano elementi prog - Maidens Cry ha una bella struttura in crescendo, con il canto dolente di Werth e il clarinetto in evidenza, Audience BELLADONNAinevitabile notare la la somiglianza con Stairway To Heaven, ma Werth assicura di averla composta ben prima del successo di Led Zeppelin, e infine la prima versione di quello che diventerà il loro classico, The House On The Hill che era già nel repertorio della precedente band di Werth, qui in una versione più breve di quella contenuta nell’album del 1971, ma che già manifesta le sue potenzialità di forza e drammaticità con la voce di Werth straordinaria nel passare dai momenti forti e intensi a quelli più soffusi e intimistici; mentre Gemmell dà dimostrazione delle sue capacità che troveranno piena realizzazione negli album successivi. Purtroppo il disco passerà quasi inosservato: in un anno, il1969, in cui il rock sfornava capolavori a ripetizione, c’era poco spazio per un’opera tutto sommato ancora incerta, in cui le varie influenze dei musicisti non avevano trovato una decisa direzione stilistica.

 

Friend’s Friend’s Friend

L’anno seguente è la volta di “Friend’s Friend’s Friend”, il primo per la Charisma: l’avventura inizia subito in modo problematico con l’abbandono del produttore Shel Calmy che giudica il materiale troppo poco commerciale, ma i nostri non disarmano e decidono di autoprodurre il disco. Ne esce fuori un’opera molto più convincente della precedente, la band adesso sembra più decisamente orientata verso il prog, la lunghezza dei brani si dilata, il linguaggio musicale si fa più complesso e sperimentale fra atmosfere folk e furori jazzistici, i testi rimandano a mondi lontani e fiabeschi. Nella canzone che dà il titolo all’album si narra di un misterioso suonatore capace di far sparire la tristezza per poi svanire ‘in un fumo dolcemente profumato’; ma ecco anche cruenti episodi del passato: in Raid il testo dai toni cupi evoca sanguinose incursioni vichinghe, avvicinando Trevor Williams, autore di quasi tutti i testi, alle tematiche proprie dei parolieri del prog, cantori di mondi fatati e incantevoli, ma la peculiarità di Williams è data dalle atmosfere scure, inquiete, tormentate che pervadono i suoi versi, l’oscurità e il male sono sempre in agguato. Molti i titoli che si fanno notare per la loro bellezza: l’iniziale Nothing You Do di ispirazione folk sostenuta da un eccellente giro di basso che dà energia e forza e con Werth in una delle sue migliori prove canore, It Brings A Tear è intensa e drammatica nella sua evocazione di un’infanzia perduta, 'dopo tutti questi anni l’atmosfera è chiara e cristallina e porta una lacrima' recitano i versi finali, la psichedelica Priestess con in primo piano un suggestivo assolo di flauto ondeggiante dalla dolcezza alla rabbia, mentre l’ombroso testo ci narra di un’assassina. 

 

The Big Spell è un rock di derivazione soul con un furioso sax e la chitarra di Werth a impreziosirla, Friend's Friend's Friend si inserisce nel filone fiabesco del prog, ricorda i compagni di etichetta Genesis, ma la sua brevità la penalizza.  Raid è il brano più lungo dell’album con i suoi 8’44” ed anche il più bello, quasi totalmente strumentale mette in luce le qualità migliori della band, intensità e drammaticità, virtuosismo espressivo, cambi di ritmo e atmosfera, e se le percussioni danno nerbo rock al suono Raid è davvero il trionfo di Gemmell: il suo sax molto free dilaga travolgente fino ad uno straordinario finale ad alta tensione in cui le note acute e basse dei fiati si alternano comunicando un inquieto senso di disperazione, 'i vichinghi sono venuti, i vichinghi hanno ucciso, i vichinghi ci hanno messo in catene'. Meno convincenti sono le canzoni in cui gli Audience abbandonano le atmosfere nere e si danno ad una musica allegra e spensierata come nella strumentale Ebony Variations, musica folk bucolica da ballo sull’aia o nel brano scelto come singolo, Belladonna Moonchild parzialmente rovinata da un’improvvisa incursione country. La copertina dai colori e dai disegni psichedelici è opera degli stessi Audience, Howard Werth nei ’60 aveva lavorato come disegnatore di copertine realizzandone fra l’altro per i Kinks.

   

 

Gli Audience in:  "La casa sulla collina"

Nel 1971 gli Audience entrano in studio con il produttore Gus Dudgeon - John Mayall, Elton John, Elkie Brooks, Fairport Convention, Lindisfarne hanno lavorato con lui -  per produrre quello che è il loro capolavoro, anche se qualcuno gli preferisce l’album precedente, “The House On The Hill”. Il disco aveva tutte le potenzialità per far breccia presso il grande pubblico, in quegli anni d’oro il rock vendeva centinaia di milioni di copie e spesso dominava le classifiche: ebbe invece una diffusione di nicchia, malgrado il successo del singolo Indian Summer, n° 74 nella classifica di Billboard, avesse aperto le strade del mercato americano; sarà l’Elektra a distribuire negli Usa questo e il successivo “The Lunch”, e degli Audience furono in pochi ad accorgersi. Eppure non è azzardato definirlo un grande album, non un capolavoro solo perché non tutte le tracce sono dello stesso livello: intanto una copertina di quelle che ti rimangono impresse, una delle più belle della storia del rock, opera dello studio Hipgnosis e di Howard Werth, una foto curata fin nei minimi particolari di un interno di una dimora di lusso; in primo piano un uomo, in piedi in elegante doppiopetto, e una donna, tacchi alti, sigaretta in mano, seduta in poltrona con lo sguardo rivolto verso destra. Apriamo la copertina (assolutamente da evitare le edizioni non gatefold), e scopriamo che un anziano signore - il maggiordomo? - sta trascinando fuori dal salone il cadavere di un uomo, qualcuno pensa si tratti di Hugh Hopper il bassista dei Soft Machine. I colori, l’ambiente, i costumi sono quelli tipici dei film anni cinquanta, gli horror della Hammer, ed anche la dicitura dell'album "Audience in … the House On The Hill " rimanda ai titoli cinematografici.

 

Raramente una copertina è riuscita a condensare in modo così efficace la musica del disco che contiene, l’anima dark, nera, inquieta che sottende la musica degli Audience e quest’album in particolare, trovano raffigurazione nell’immagine che svela solo in un secondo tempo il lato oscuro di un apparentemente sereno quadretto familiare. Ovviamente l’immagine rimanda immediatamente alla canzone che dà il titolo al film, la storia orrorifica di una casa in cui vive il Re Topo, vestito da giudice, che nelle notti di neve si trasforma in una fanciulla che divora coloro che vi entrano; ma anche alle malinconiche canzoni d’amore come You’re Not Smiling, la fine dolorosa e rabbiosa di un amore, o I Had A Dream, in cui gelosia e sospetto tradimento rendono infelice l’unione. In ogni caso l’amore non porta mai serenità e felicità, ma tormenti e sofferenze, può essere mediato dalla violenza, come nella cover di I Put A Spell  On You di Screamin’ Jay Hawkins 'ho messo un incantesimo su di te perché sei mia' o è allegramente rifiutato come in Nancy, figlia di un contadino povero che rifiuta il matrimonio con un giovane bello e ricco, per ‘leggere letteratura in latino e pulire le stoppie nel cortile’. Ma naturalmente la cosa più riuscita sono le canzoni: l’originale line-up degli Audience, con i fiati che assumono il ruolo della lead guitar elettrica, l’uso della chitarra classica, l’assenza, se si escludono brevi apparizioni del piano, delle tastiere, strumento che caratterizza gli altri gruppi prog, conferiscono originalità alla proposta musicale, che ancora una volta si tinge di un sostrato soul e di blues. I brani, almeno i più riusciti, sono intensi e drammatici, dalla potente forza espressiva, grazie innanzitutto ai fiati di Gemmell che variano in un ampio spettro di tonalità con grande energia comunicativa - non a caso i Van der Graaf sono il gruppo a cui più di frequente vengono accostati - e alla voce di Werth dall’impostazione blues, una via di mezzo fra Peter Hammill e Roger Chapman e un timbro simile a quello di Van Morrison.

 

La palma del migliore se la disputano l’iniziale Jackdaw, sinistra figura di ladro, ‘mi hai rubato i soldi, mi hai rubato metà della mia vita e anche mia moglie’, forse la miglior performance del sax e del clarinetto di Gemmell, suonati come una chitarra elettrica con tanto di distorsioni annesse, e con un riff di sax a cui è impossibile resistere, e The House On The Hill.  Lunga il doppio rispetto a quella del primo disco la song dispiega qui tutta la sua incantevole forza: i cambi d’atmosfera, ora drammatici, ora di inquietante pacatezza, ora evocativi di lugubri lontananze, ora ruggenti e rabbiosi rendono l’ascolto di grande pathos ed emozione. Ma il disco contiene altre riuscite canzoni, I Had A Dream un gospel blues amaro alla Van Morrison, la ballata fra country e gospel Nancy, la bella cover di I Put Spell on You che conferma il lato black degli Audience, la nervosa Eye To Eye sull’incomunicabilità fra generazioni. Meno convincente la strumentale Raviolé posta a metà del disco, ispirata alla musica indiana di Ravi Shankar quasi a rasserenare l’animo dell’ascoltatore: rimane comunque un pezzo di grande prova stilistica di Werth alla chitarra classica, qui accompagnato anche dal quartetto d’archi della London Synphony Orchestra. Sul mercato americano l’Elektra cambierà la scaletta del disco facendola aprire con Indian Summer, canzoncina non delle più riuscite ma che era entrata nelle classifiche di vendita, ed eliminando Eye To Eye.

 

Lunch

Nel 1972 gli Audience pubblicano il loro ultimo album, “Lunch”: durante le registrazioni Gemmell lascia il gruppo che viene integrato dal pianista Nick Judd, da Bobby Keys al basso e da Jim Price alla tromba e al trombone. Viene fuori  un disco che lascia interdetti e che pone alcuni interrogativi, sembra quasi che la band voglia andare incontro ad un insuccesso annunciato; i brani si accorciano andando contro la tendenza dominante del periodo, tutti compongono lunghe suite e questi incoscienti ritornano ai tre minuti tre! Le melodie e le musiche si fanno più semplici e orecchiabili, mentre il pubblico richiede arrangiamenti complessi e sempre più vicini alla musica “seria”, i testi perdono l’inquieta e affascinante cupezza del passato, sembra proprio che la band insieme alla compattezza dell’organico  abbia perso per strada i tanti promettenti semi fin lì piantati. “Lunch” non è un album da buttar via, contiene alcune belle canzoni, energiche e grintose come l’iniziale Stand By The Door, la bella canzone d’amore In Accord, in cui la dichiarazione d’amore di Werth si dipana in una serie di metafore musicali, e la finale, drammatica e malinconica, Buy Me An Island, vero e proprio epitaffio della band che sembra aver previsto il proprio insuccesso rappresentato nella storia di un uomo perseguitato dalla sfortuna e incompreso che vuole 'comprare un’isola sotto il sole dove la vita sia palme di cocco e nuotare nel mare'. Il resto è un insieme di canzoncine gradevoli, ma che danno l’impressione di un’accozzaglia di stili e proposte diverse e di una musica che non sempre sa dove andare. Si passa così dalla canzone vecchio West Trombone Gulch, al blues di maniera di Seven Sore Brusses, dai suoni zigani di Party Games, alla ballata folk  Hula Girl, un eclettismo strano per un disco che inizialmente doveva essere un concept album. Anche la copertina dell’album, sempre a cura Hipgnosis, non è che uno sbiadito tentativo di ripetere il risultato di “The House On The Hill”. Finisce così la storia di un gruppo di eccellenti musicisti, capaci di regalare grandi emozioni, ma che non hanno saputo sfruttare sino in fondo le loro potenzialità ed entrare in sintonia con il pubblico del loro tempo. Underrated è la definizione che si trova sempre quando si parla degli Audience: è tempo di dare loro la meritata considerazione e soprattutto di riascoltarli.

 

Ignazio Gulotta

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