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1 Febbraio 2012

The Ramones Gubbye Gubbye Hey

2012

RAMONES: Tubetti di colla, banane cubane, fumetti, jeans sdruciti, keds bisunte. E fu il punk!

ramonesHo quaranta anni e canto ancora le canzonette dei Ramones. In pratica, un idiota. Non per un’illusione di gioventù ma forse per un’ ultima fame di essa. Un ultimo appagante morso di giovinezza. Di benedetta, ignorante, divertita giovinezza. I Ramones erano l’adolescenza in pillole. Un blister di integratori e antiossidanti, come quelli che ci rifilano i farmacisti per regalarci l’illusione che non invecchieremo mai. Non a caro prezzo, perlomeno. I Ramones erano la voglia di divertirsi, di muoversi fuori dalle regole, non di sovvertirle. Perché il modo migliore per fare uno sgarbo agli adulti non è lo scontro, ma l’indifferenza. E i Ramones in questo credono. In un mondo che sia tutto loro. Colorato come quello dei Barbapapà. Dentro ci sono loro e le loro amiche Judy, Sheena, Suzy e Ramona, qualche barattolo di colla e un mucchio di dischi, di quelli che fanno stare bene: Beach Boys, Trashmen, Bobby Freeman, Searchers, Rivieras, Chris Montez. Nessuno deve farsi male. Eppure molti ne usciranno con le ossa rotte. Il basso di Dee Dee a sinistra, la chitarra-grattugia di Johnny a destra, la voce nasale di Joey e la batteria di Tommy su entrambi i canali. Benvenuti nella cameretta dei fratellini Ramone, piena di mazze da baseball, banane cubane, tubetti di colla, fumetti, jeans sdruciti, keds bisunte e trappole per topi. Il posto dove il rock‘n'roll decide di riprendersi quello che gli spettava di diritto e che gli era stato rubato. Il luogo dove il rock‘n'roll  torna per l’ ultima volta bambino. Ricominciando a contare. One… two… three… four.

 

“Ramones”  è il tentativo di cancellare "Pet Sounds" e "Sgt. Pepper's" dalla storia. E’ una vendetta architettata tra gli scivoli della bambinopoli del Central Park. L’album costa 6.400 dollari. La band ne spende più di 2.000 per la foto che vogliono mettere in copertina, parodiando la storica cover del secondo album dei Beatles. Come si sa, sarà alla fine uno scatto di Roberta Bayley sulla Bowery a certificare l’arrivo dei Ramones nei negozi di dischi con le loro prime quattordici canzoni. La più corta dura un minuto e trenta secondi. La più lunga due minuti e trentacinque. The Cinema Show dei Genesis durava 11 minuti e 6 secondi. 1973. Shine on you crazy diamond dei Pink Floyd durava 26 minuti e 2 secondi. 1974. Thick as a brick dei Jethro Tull 43 minuti e 50 secondi. 1972. Tubular Bells di Mike Oldfield 48 minuti e 56 secondi. 1973. Contro queste minchiate erano venuti a combattere, i fratellini Ramone. Perché non puoi essere veramente felice se non sei davvero bambino. Perché non c’è niente di più adolescenziale che giocare a nascondino cantando uno scioglilingua senza senso tra i vicoli di New York. Perché se hai vent’anni non puoi desiderare altro che l’amore oggi e il mondo domani. E domani potrebbe essere troppo tardi. I Ramones non sono mai stati degli adolescenti musicisti. Semplicemente, banalmente, magicamente dei musicisti adolescenti. 

 

LEAVE HOME:  Voglio diventare un bravo ragazzo

Quando Johnny, Joey, Tommy e Dee Dee lasciano casa non sono più giovanissimi. Hanno già tutti varcato la soglia dei venticinque anni. Eppure “Leave Home”  è ancora più sciocco e demente del suo predecessore, come dei Beach Boys sparati in filodiffusione per i corridoi di una clinica per minorati mentali. I coretti surf di Oh Oh I love her soYou ‘re gonna kill that girl e California Sun e le irresistibili ballate spectoriane I remember you e What's your game palesano il vecchio amore di Joey per la musica degli anni Sessanta mentre è Dee Dee a farsi carico di scrivere i nuovi anthem da affiancare alle Blitzkrieg Bop e Now I wanna sniff some glue dell’anno prima: CommandoPinheadCarbona not glueNow I wanna be a goodboy sono i nuovi scioglilingua da inghiottire come piccole pastiglie miracolose. Sono un’illusione di gioventù. Sono un cartoon animato che si muove sul palco del tuo locale preferito. Sono la borsa delle vacanze per un viaggio che non farai mai. Sono quella volta che sei stato così balordo da sentirti un punk e così felice da sentirti un angelo piovuto dal cielo, così su di giri da poter fare il surf sullo tsunami e così bambino da ciucciarti il dito mentre sfogli il tuo fumetto del cuore. Tutto assieme, e tutto in una volta sola. Per sempre.

 

ROCKET TO RUSSIA: Scioglilingua dementi

Rocket to Russia” è l’ultimo disco inciso dai quattro fratelli di “sangue”. Il terzo nel giro di un anno e mezzo. Un missile punk rock puntato verso la Russia e che mentre solca il cielo, lascia polvere rock'n'roll su tutti i continenti. Come il precedente è prodotto da Tony Bongiovi, uno che aveva messo mano agli inediti di Hendrix finiti su Crash Landing e ad alcune produzioni di Gloria Gaynor e che investirà malamente quanto guadagnato pagando le lezioni di canto per quella mezza calzetta del cugino Jon Bon Jovi. Dentro ci finiscono pure degli “scarti” destinati ai primi dischi come I don't care e Sheena is a punk rocker (la seconda delle quali verrà infatti inclusa nelle tarde tirature di "Leave Home" a sostituzione della censurata Carbona not glue, NdLYS) accanto al solito pugno di canzoncine che suonano come i Beach Boys cantati alla recita dell’asilo (Rockaway BeachRamona), ai soliti scioglilingua dementi da cartoon televisivi (Cretin HopTeenage LobotomyI don't careWe're a happy family) e ai piccoli classici scelti per l'occasione (stavolta tocca a Surfin’ Bird e Do you wanna dance?).

Non un passo avanti rispetto a quanto fatto prima. Non un passo indietro. Eppure non ci credi che riuscirai a mandare a memoria anche quelle. E che le canterai per altri trenta anni, una dietro l’altra. Separate solo da quell’one-two-three-four che ci risuona ancora in testa, implacabile, immortale. Tommy lascerà qualche mese dopo. Gli altri una ventina d’ anni più tardi. Joey per cancro, Dee Dee per overdose, Johnny per tumore alla prostata, sotterrando per sempre il rock ‘n roll, la sua energia demente, la sua logica di teppismo ribelle, il suo calendario fatato che ci impedisce di diventare adulti.

 

ROAD TO RUIN: Punk a impatto controllato

Il 1978 è una stagione di riflusso. L’onda del punk che ha travolto tutto si sta ritirando, portando con sé molti cadaveri. I superstiti cercano scampo. I Ramones, nella tragedia, sono rimasti in tre. Tommy lascia il posto a Marky: è la fine di una stagione. “Road to ruin” è un disco incapace di bruciare il culo come per i tre dischi precedenti. E’ un album a impatto controllato. Tommy resta nell’orbita della band dando una mano a Ed Stasium in sala regia. Dall’altra parte del vetrocamera ci sono quattro personaggi dei fumetti che suonano le loro canzonette dementi, stavolta con meno irruenza punk e con più persuasione pop. Come fossero i Rokes o le Ronettes. Questioningly, la cover di Needles & PinsDon't come close (con tanto di breve solo chitarristico) sono le canzoni chiave del nuovo corso dei Ramones, quello che prelude alla svolta spectoriana di "End of the century"She‘s the oneBad BrainI don't wantI wanna be sedated e Go Mental vanno oltre, anticipando quello che sarà il suono Ramones degli anni Ottanta, sempre più parodia di sé stessi ma (quasi) sempre irresistibili, come i Banana Split. Chi vuole ritrovare i vecchi fratellini deve rifugiarsi nei 3 minuti e venti di I wanted everything o non avrà scampo. Il muro della Bowery scompare dietro le loro spalle. Adesso nel disegno di John Holmstrom hanno l’intera New York alle spalle, seppur distrutta dall’onda travolgente del punk che è appena passata. Today your love, Tomorrow the world.  

 

 END OF THE CENTURY: Gli anni 80, Phil Spector, the 'wall of sound'

End of the century“ inaugura gli anni 80. Se qualcuno ve lo vende come il peggior disco dei Ramones voi compratelo. Anzi, fatene un’arma per trattare sul prezzo. E portatevi a casa il capolavoro pop dei fratellini che all’ alba del nuovo decennio sono presi in ostaggio da Phil Spector nei Gold Star Studios di Los Angeles. Sono gli stessi dove Phil ha creato il wall of sound che è da sempre un’ossessione per Joey. Ogni volta che scrive un pezzo per la band, ogni volta che sale su un palco a fare il suo one-two-three-four show, Joey ha in mente quel suono. Lo ha rincorso per anni. Ora ha chiesto a Spector di lavorare con loro. E Spector ha accettato. Ma Phil non è più il ragazzo strampalato degli anni Sessanta. E’ reduce da un incidente gravissimo che lo ha quasi portato nell’oltretomba. Gli hanno preso il cervello dall’asfalto e glielo hanno rimesso a forza dentro il cranio, ricucendolo con 700 punti di sutura. E da allora è diventato un folle con la mania per le armi da fuoco. Quando apre la porta degli studi con in mano una pistola, i Ramones si accorgono di essere in trappola. Phil punterà quella pistola in faccia alla band più volte, durante queste interminabili sedute di registrazione. Phil odia i Ramones. Li giudica degli incapaci che sognano di suonare perfetti come i Beach Boys. E lui è ossessionato dalla perfezione. Il solo accordo che apre l’album (quello di Do you remember Rock'n'roll radio?, per capirci) verrà risuonato CENTOSESSANTA VOLTE prima della volta decisiva. Dodici ore di session in fumo per un solo accordo. Con la band che minaccia di andarsene e Phil che li tiene sotto tiro con la sua Calibro 38. Indovinate voi se alla fine siano rimasti o no.

 

End of the century”  viene lavorato in questo clima da delirio omicida che contrasta con la dolcezza pop che Spector riesce a tirare fuori dal caos primordiale dei Ramones. L’album regala alla band il primo successo da classifica. Perché siamo nel 1980, c’è stato il punk, l’hard rock e sta esplodendo la furia hardcore e metal ma ai violini nessuno riesce ancora a dire di no e così Baby, I love you, scritta da Spector per le Ronettes quasi vent’anni prima, plana in classifica. E’ il momento di massima visibilità per la band, grazie anche alla commedia cinematografica “Rock'n'roll High School “che sdogana i Ramones anche sulle terre emerse e non solo nel mondo sommerso della musica per tossici. I Ramones arrivano anche sulla copertina di Topolino, il 6 settembre del 1981. Ma al di là dei meriti (o demeriti) commerciali, “End of the century” è il disco che ridisegna il suono dei Ramones senza rinnegarlo, come sarà fino alla fine. E’ come se la band fosse arroccata sul suo castello (il disco ha palesi rimandi alle “storie” del primo album, come è evidente su The return of Jackie & Judy o This ain't Havana) mentre Phil Spector cerca di demolirla mattone dopo mattone. La fortezza però resiste, mentre i fratelli sparano cartucce come Chinese RockLet's goHigh Risk Insurance o una perla di pop romantico come Danny Says che molti idioti non perdoneranno mai a Joey e che invece è una delle cose più preziose che abbia mai scritto, in grado di competere davvero con le delizie pop degli anni Sessanta che con i suoi occhi da miope ha sempre guardato dalla finestra di casa sua.

 

PLEASANT DREAMS, SUBTERRANEAN JUNGLE: Una pila scarica

Se la produzione di Spector era stata criticata dall’ala dura dei fan, quella di Graham Gouldman per “Pleasant Dreams” non può che essere difesa da un avvocato di parte. E magari anche strapagato. Non mancano i numeri buoni, come in ogni disco dei fratellini, dal primo all’ultimo: Dee Dee scrive ad esempio una cosa come You sound you're sick e Joey ci concede una festosa It's not my place (in the 9 to 5 world) da annoverare tra i capolavori della sua carriera (con tanto di ponte centrale chiaramente ispirato ai Who di A Quick One, NdLYS) dimostrando che il vero calo non è qualitativo ma comunicativo. Lo dimostrano altre chicche del periodo che vengono escluse dalla track list dell’album (Stares in this townKicks to try) e che rappresentano una band con in mano ancora delle cartucce inesplose ma potenzialmente in grado di buttare a terra tanti fantocci che col termine punk hanno sistemato i propri conti in banca. Le scelte produttive di Gouldman che mirano a piallare il suono della band e a esaltare i livelli del mixer destinati alle voci (quella di Joey ma anche i cori affidati a Dee Dee, a Debbie Harry dei Blondie, a Kate e Cindy dei B-52‘s, a Russel Mael degli Sparks e allo stesso Gouldman) avvicinandolo alle produzioni mainstream del periodo (valgano per tutte Come on now con tappeto di tastiere, ritmo incalzante e cori alla Herman‘s Hermits e Sittin'in my room con passo killer di chitarra) sono destinate però a fallire precludendo alla band da un lato le simpatie della scena hardcore che si sta imponendo in quegli anni e dall’altra mancando le classifiche che si era proposta di centrare dopo l’esplosione a modulazione di frequenza di Baby, I love you.  

 

Il punto artisticamente più basso della carriera dei Ramones è rappresentato dai trentatré minuti e ventuno secondi di “Subterranean Jungle", l’unico album sulla cui copertina i Ramones sono in tre. Marky, buttato fuori di casa appena concluse le registrazioni, è solo un’ immaginetta sulla carrozza della metro che divora le viscere di New York a bordo del quale sono saliti Joey, Dee Dee e Johnny. Ma è un vagone allo sbando. Ritchie Cordell (quello di Mony Mony, per intenderci) e Glen Kolotkin, il team chiamato ad alzare le quotazioni della band, sono reduci dal successo di I love Rock ‘n Roll di Joan Jett e la Sire, dopo aver investito energie e denaro sulla band e aver incassato il flop di Pleasant Dreams, ha bisogno di un prodotto da poter vendere. Ma i Ramones quel prodotto non ce l’hanno. Non è un bel periodo del resto. C’ è la scimmia della droga attaccata alle spalle e  c’ è una scena che si è sostituita a quella vecchia e che non li riconosce più come padrini. Accartocciano alla bell’ e meglio nove pezzi, aggiungono le peggiori cover della carriera (Little Bit O' SoulTime has come todayI need your love) e sperano, sbagliando, che la produzione dinamica e moderna faccia in modo che nessuno si accorga che hanno poco da dire. I Ramones sono una pila scarica e "Subterranean Jungle" una torcia che non riesce a illuminare neppure l’angolo cottura di casa mia, figurarsi le gallerie della giungla newyorkese.

 

TOO TOUGH TO DIE, ANIMAL BOY: Il ritorno a casa

Ispirato sin dalla copertina ad “Arancia Meccanica”, “Too tough to die” rimette in piedi  l’istituzione Ramones. Ai tamburi siede il nuovo batterista Richard Reinhardt, uno in grado di picchiare e di scrivere canzoni più ramonesiane degli stessi Ramones. Con lui i fratellini ritrovano la verve perduta e tirano fuori un disco incazzato che punta dritto in faccia. Ma anche al cuore e allo stomaco. E quando in apertura risenti l’one-two-three-four dei tempi gloriosi, ti senti come nel salotto di casa tua. E difatti "Too tough to die" è il disco del ritorno a casa: i Ramones che  l’avevano abbandonata nel ’77, vi fanno ora ritorno. Ed Stasium e Tommy Ramone infatti siedono nuovamente al banco regia, riportando il suono della band alla sua essenza, dopo le ignobili produzioni di "Pleasant Dreams" e  "Subterranean Jungle".

I Ramones capiscono che per ritrovare il loro pubblico non è necessario adattare il suono a quello delle moderne e laccate produzioni mainstream ma piegare piuttosto l’asse di scrittura cercando, senza sacrificare la sporcizia dei primi anni, di abbracciare nuovi canali comunicativi. Che siano power-pop, hardcore o glam poco importa, l’importante è che ci sia sopra il marchio Ramones: energia, divertimento, velocità, immediatezza. Alla faccia di chi li dava per spacciati, me incluso, "Too tough to die" è un disco che riporta i Ramones a grandi livelli di scrittura, destinati a rimanere tali ancora a lungo. Chasing the night e Wart Hog sono le mura antisismiche dentro cui si costruisce il nuovo suono della band: pop-punk a presa rapida e furiose stilettate hardcore con Richie che corre come un treno e un Dee Dee che sputa e tira calci come un drugo imbottito di Latte+ e anfetamine.

 

Con un mohicano in sala regia non puoi permetterti troppe dolcezze. E infatti “Animal Boy”, il disco del 1986, sembra registrato col fiatone come una versione motorheadiana dei vecchi Ramones. Eat that ratAnimal Boy e Freak of the nature sdoganano la band presso i seguaci del metal, soprattutto quello di estrazione speed, death e thrash grazie al suono al fulmicotone e a qualche timido assolo chitarristico di cui la band è sempre stata molto avara, finendo pure sotto le zanne dei vampiri della scena horrorbilly incantata  molto verosimilmente dalla voce marcia di Joey su Somebody put something in my drink, il singolo di turno scritto da Ritchie e che diventerà il pezzo dei Ramones con il maggior numero di cover da parte di band non ramonesiane. E invece anche Jean Beauvoir, il mohicano dei Plasmatics chiamato a registrare il disco, cede alla forza pop della band regalando una smanceria come She belongs to me e una perla come Something to believe in che gode dell’incanto di mille campanelle e che rappresentano, entrambe, il volto gentile del ragazzo animale. Il veterinario può tornare a casa, la bestia sta ancora una meraviglia.  

 

HALFWAY TO SANITY, BRAIN DRAIN, MONDO BIZZARRO: Splendori e decadenza

Quando “Halfway to sanity”  fa la sua comparsa nei negozi, il 15 settembre del 1987, Ritchie ha già lasciato la band da un mese per futili motivi sui ricavi delle magliette della band che Ritchie ha curato personalmente per quattro anni. Ma sono ancora le sue bacchette a picchiare su quello che è forse il miglior album dei Ramones dell’intero decennio. Suoi sono anche un paio di pezzi che fanno la loro sporca figura in questa dozzina di brani prodotti da Daniel Rey. Il gain delle chitarre è sempre compresso e il suono robusto li avvicina all’impronta rock dei dischi di Iggy Pop dello stesso periodo, senza disdegnare un certo taglio necrofilo che fa di un pezzo come Garden of serenity un piccolo inno per gli orfani del suono post-punk dai tratti gotici dei primi Cult e della Missione delle Sorelle della Misericordia. Il power-pop di Go Lil’ Camaro Go, con divertente citazione di Papa Oom Mow Mow, mette in mostra la voce (purtroppo solo quella, NdLYS) di Debbie Harry mentre I lost my mind (che fa il paio con la scheggia I'm not Jesus con tanto di Padre Nostro recitato in latino) è una divertente parodia hardcore scritta da Dee e Johnny, che lasciano come sempre a Joey il compito di scrivere i pezzi più vicini al pop anni sessanta come A real cool time (che i Jesus and Mary Chain, altri devoti allo Spector-pensiero, riscriveranno altre cento volte, NdLYS), Death of me e la stupenda ballata Bye Bye Baby omaggio nemmeno troppo velato a Be My Baby delle Ronettes. Il ritmo della giungla di Worm Man chiude il sipario su un album che mostra una band ancora in grandissima forma nonostante sia stata costretta, per non essere ridicola, a tagliare via già da qualche anno We're a happy family dalla scaletta dei concerti e centrifuga questo liofilizzato di cultura teen che, col passare degli anni, era precipitata dalla serie B alla serie Z.  

 

Film horror e cartoon avevano finito per risucchiare i 4 monellini di New York. I Ramones degli ultimi anni di carriera erano ancora più fumettistici di quanto lo fossero nei primi anni di carriera, quando posavano addossati alle mura scalcinate dei loro vicoli newyorkesi. “Brain Drain” è il disco del 1989, quello del successo di “Pat Sematery” commissionata al gruppo da Stephen King in persona e della chiusura del contratto con la Sire che li aveva tenuti in “ostaggio” dalla nascita e dalla prima uscita del 1976. Brain Drain segna anche il ritorno di Marky dietro i tamburi e l’addio di Dee Dee che mollerà la band da lì a poco pur continuando a flirtare col gruppo fino alla fine. Musicalmente lo reputo uno dei dischi più deboli della discografia Ramonesiana assieme a "Pleasant Dreams" e "Subterranean Jungle". Allontanandosi da certi eccessi degli album che lo avevano preceduto al giro di boa degli 80 e che avevano spostato il mirino del gruppo verso lidi hardcore e hard-rock la band di Joey, ma nel tentativo di non ricadere nel clichè-Ramones dei dischi “classici”, il gruppo si circonda di compagnie eccellenti (dal Dictators Andy Shernoff a Richie Stotts dei Plasmatics passando per Bill Laswell e Daniel Rey) ma il disco risulta dispersivo, poco dinamico, incerto, trascurabile. La rinascita è segnata dall’uscita di "Mondo Bizarro", tre anni dopo. Il contributo di Marky e del dimissionario Dee Dee è fondamentale in fase di scrittura, con pezzi del calibro di The job that ate my brainPoison Heart (che sarà anche l’ ultimo singolo per la band), Anxiety (Marky continuerà a suonarla con gli Intruders, ma la voce di Skinny Bones non era quella eternamente infantile di Joey e il giocattolo non era più dunque la stessa cosa, NdLYS), Main Man da annoverare tra i classici del gruppo.

 

ACID EATERS, ADIOS AMIGOS!: Gli ultimi fieri fuochi

Dello stesso periodo è la version di Spider Man uscita sulla versione americana di "Adios Amigos!"  ma ciò che costituirà la chiave di volta per la nuova avventura dei Ramones sarà un’altra cover: Take as it comes dei Doors suggestionerà a tal punto il loro nuovo manager Gary Kurfirst da convincerlo ad invogliare il gruppo a farne un singolo attorniato da altre piccole “nuggets” del periodo d’oro del rock riviste secondo l’ottica pop-punk tipica dei Ramones. Mesi di ascolti e di divertite session a base di cover dei perduti anni sessanta daranno come risultato non più un extended play ma un intero disco di cover. "Acid Eaters"  è il titolo scelto per il disco del 1993: 12 brani pescati nella rete dell’età d’oro del rock. Amboy Dukes, Who, Stones, Max Frost and the Troopers, Jefferson Airplane, Animals, Love, Dylan, Seeds, Creedence, Troggs, Beach Boys e Tom Waits (ma la cover di I don't wanna grow up finirà sul disco successivo) sono i “prescelti” per questa messe di pepite (quasi) incontaminate. Il tiro dei Ramones funziona soprattutto su pezzi come The shape of things to comeOut of time e (ovvio!!!) Surf City,  ma l’intero disco ha per i Ramones (e per chi l’ascolta) un effetto rigenerante. 

 

Il gruppo è ancora circondato da amici eccellenti (stavolta ecco comparire Sebastian Bach degli Skid Row, la majalissima Traci Lords e addirittura Pete Townshend) e da una fiducia di pubblico, critica e contrattuale crescente. Gli effetti benefici della sbornia sixties si manifesteranno due anni dopo con l’uscita di "Adios Amigos!", il disco che segna, sin dal titolo, l’addio del gruppo alle scene. Introdotto da una copertina orribile (due dinosauri con i sombreri, terrrrribile!!!) e dallo “scarto” lasciato dai mangiatori 

d’ acido di cui vi ho già detto, "Adios Amigos!" è il commiato degno di una band di primordine come i Ramones. E’ un disco dove viene fuori tutta la classe del gruppo e che è marchiato, oltre che da un songwriting praticamente insuperabile, dalla figura “rampante” di CJ che si impone come vocalist in cinque delle quattordici tracce e come autore anche se i veri classici sono quelli firmati da Dee Dee (The crusher e Cretin Family su tutte). Era il 4 luglio del 1995. Tredici mesi dopo, a conclusione del loro ultimo trionfale tour, i Ramones non esistevano più. A Joey veniva diagnosticato un tumore che lo avrebbe portato via nella Pasqua di sei anni dopo. Giusto in tempo per portare con sé il ricordo di una New York ancora tagliata verticalmente dalle Twin Towers. Restavano solo dei cloni. Irritanti, il più delle volte. Irrilevanti, in ogni caso. Addio Joey, addio Dee Dee, addio Johnny. Grazie per averci fatto sorridere come ebeti per venti anni e per aver mirato dritto al cuore. Al cuore, Ramone… al cuore.

 

 

Franco "Lys" Dimauro
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