Pensiero unico? No, grazie
Non esiste ‘il pensiero unico’ quando si scrive di rock, o si fa critica rock. Ecco parto dalla fine, dalla tesi, ma vediamo di capirci qualcosa. Si comincia a scrivere di rock quando non ti basta più la dimensione dionisiaca dell’ascolto, quando hai un surplus di emozioni, di interazioni sonore sinaptiche che cercano libero sfogo, e non certo perché senti impellente la missione di indottrinare la massa che si presume stupida e retrograda musicalmente. Almeno per me è iniziato tutto così, prima di arrivare al giro di boa dei trent’anni, anch’io vittima compiaciuta del ‘benedetto’ situazionismo punk, una volta scrollatomi di dosso l’oppiaceo fardello emozionale degli anni (pur molto amati!) del progressive: la spinta a scrivere che sentivo era altrettanto urgente di quella di esser capace di dispensare agli altri su un palco la mia razione di vibrazioni rock and roll. Approfitto per sfatare, almeno spero, il luogo comune che vuole chi scrive di rock essere necessariamente un musicista frustrato: si possono benissimo fare tutte e due le cose, sono due attitudini diverse di estrinsecare la propria urgenza espressiva.
Non ho mai frequentato stages , conseguito master in giornalismo, tanto meno in giornalismo rock, è un limite (!?) Ciò che ho imparato l’ho appreso sul campo, scrivendo da trent’anni a questa parte, prima attraverso un intensissimo ‘fanzinato’ cartaceo da inizi anni ’80 sino a tutti i ’90, collaborando molto saltuariamente a qualche rivista specializzata nazionale sempre su carta, addentrandomi con l’inizio del terzo millennio nella fitta e vergine (almeno per me allora) jungla della rete e dei web magazines rock. Ho capito, da autodidatta, che il lato emozionale e passionale in uno scritto va sempre unito ad un minimo di informazione e di didascalie, se vuoi che chi ti leggerà dopo poche righe non si stanchi e scambi la tua recensione per uno sfogo onanistico fine a sé stesso. Ho anche capito che non bisogna avere la presunzione che ciò che si è scritto sia definitivo rispetto quell’artista, quella band o quel disco: la vita è bella anche perché è varia, quindi devi abituarti a qualcuno che ‘sente’ e la pensa in modo completamente diverso da te, sempre naturalmente argomentando il suo parere.
Ecco perché non è da escludere, anzi è probabile, che possiate trovare su Distorsioni pensieri critici, considerazioni, articoli, recensioni, contrastanti e di segno contrario rispetto lo stesso lavoro discografico o lo stesso artista: si badi bene, questo non equivale alla mancanza di una linea editoriale precisa e mirata. Ho sempre combattuto il ‘pensiero unico’ e lo combatto ancora oggi, a cominciare da qualche collaboratore di Distorsioni che può ‘personalizzare’ e risentirsi per un giudizio negativo di un collega su qualcosa che gli sta particolarmente a cuore. Ho abbastanza rispetto per chi ci legge per pensare che non si confonderà davanti a due opinioni diverse, ma le elaborerà ed alla fine terrà per sé quella che riterrà più giusta o affine al suo sentire.