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19 Febbraio 2012

Pensiero unico? No, grazie


Non esiste ‘il pensiero unico’  quando si scrive di rock, o si fa critica rock. Ecco parto dalla fine, dalla tesi, ma vediamo  di capirci qualcosa.  Si comincia a scrivere di rock quando non ti basta più  la dimensione dionisiaca dell’ascolto, quando hai un surplus di emozioni, di interazioni sonore sinaptiche che cercano libero sfogo, e non certo perché senti  impellente la missione di indottrinare la massa  che si presume stupida e retrograda musicalmente. Almeno per  me è iniziato tutto così, prima di arrivare al giro di boa dei trent’anni, anch’io vittima compiaciuta del  ‘benedetto’ situazionismo punk, una volta scrollatomi di dosso  l’oppiaceo fardello emozionale degli anni (pur  molto amati!)  del progressive:    la spinta a scrivere che sentivo era altrettanto urgente  di quella di  esser capace di dispensare agli altri su un palco la mia razione di vibrazioni rock and roll.  Approfitto per sfatare, almeno spero, il luogo comune che vuole chi  scrive di rock essere  necessariamente un musicista frustrato: si possono benissimo fare tutte e due le cose, sono due attitudini diverse di estrinsecare la propria urgenza espressiva.  

 

Non ho mai frequentato stages , conseguito master  in giornalismo, tanto meno in giornalismo rock, è un limite (!?)  Ciò che ho imparato  l’ho appreso  sul campo, scrivendo da trent’anni a questa parte, prima attraverso  un  intensissimo ‘fanzinato’  cartaceo da inizi anni ’80 sino a tutti i ’90, collaborando  molto saltuariamente a qualche rivista specializzata nazionale sempre su carta,  addentrandomi  con l’inizio del terzo millennio nella fitta  e vergine (almeno per me allora)  jungla della rete e dei web magazines rock.  Ho capito, da autodidatta, che  il lato emozionale e passionale  in uno scritto va sempre unito ad un minimo di informazione e di didascalie, se vuoi che chi ti leggerà dopo poche righe non si stanchi e scambi la tua recensione per uno sfogo onanistico fine a sé stesso.  Ho anche capito  che non bisogna avere la presunzione che ciò che si è scritto sia definitivo rispetto quell’artista, quella band o quel disco: la vita è bella anche perché è varia, quindi devi abituarti  a qualcuno che ‘sente’ e la pensa in modo completamente diverso da te, sempre naturalmente argomentando il suo parere. 

 

Ecco perché non è da escludere, anzi è probabile, che possiate trovare su Distorsioni  pensieri critici, considerazioni,  articoli, recensioni, contrastanti e di segno contrario rispetto lo stesso lavoro discografico o lo stesso artista: si badi bene, questo non equivale alla mancanza di una linea editoriale precisa e mirata.  Ho sempre combattuto il ‘pensiero unico’ e lo combatto ancora oggi, a cominciare da qualche collaboratore di Distorsioni che  può  ‘personalizzare’   e risentirsi  per un  giudizio negativo  di un collega  su qualcosa che gli sta particolarmente a cuore.  Ho abbastanza rispetto per chi ci legge per pensare che non si  confonderà   davanti a due opinioni diverse,  ma le elaborerà ed alla fine terrà per sé quella che riterrà più giusta o affine al suo sentire.

Pasquale Wally Boffoli
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