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8 Aprile 2012 ,

Mayer Hawthorne 27 Marzo 2012, Milano, Salumeria della Musica


Assistere ad un concerto alla Salumeria della Musica di Milano è sempre una gran cosa perché è uno dei locali milanesi con l’acustica migliore. Poi se ci metti che Mayer Hawthorne è uno dei fenomeni più interessanti del panorama del new soul americano, la bella serata è garantita. Al suo secondo disco, ”How  do you do” (dopo “A Strange Arrangement” del 2009) si presenta alla data italiana del suo world tour con il suo papillon nero, una giacca fatta a felpa e sneakers: già nell’abbigliamento si capisce la sua musica. Le radici del soul americano con omaggi alla Motown ma con uno sguardo moderno e un’ottima capacità nel creare un proprio stile (con più di qualche ammiccamento a Elvis Costello ed alla squisita ed elegante musicalità dei padrini Steely Dan). Una voce calda, leggermente nasale, che si diletta volentieri con il falsetto. Un concerto molto tirato con pochi spazi lasciati alle ballate, pur presenti nel suo repertorio. Un crescendo con l’ultima mezz’ora praticamente senza pause tra un pezzo e l’altro. 

 

Come spesso capita in questi casi, ad accompagnarlo una band di giovanissimi (e validissimi) strumentisti: menzione speciale per il batterista, uno di quelli che di pacche e di groove se ne intende e per il tastierista, che lo sostiene quasi tutto il concerto con una bella voce nera. Senza dimenticare che tutta la band canta, abbellendo con i cori tutto il repertorio. Ad aprire la serata il giovane Benny Sings che propone pezzi interessanti e ben fatti ma che manca ancora di presenza scenica ed esperienza. Doti che a Mayer invece non mancano. Fa cantare il pubblico e li intrattiene come un odierno James Brown, racconta storie, le storie delle sue canzoni in cui è l’amore a fare da padrone. Simpatico il siparietto in cui critica la gente che ai concerti passa tutto il tempo con i telefonini in mano. Ma lo fa in modo ironico e irriverente: prima si fa fotografare dal batterista con le spalle al pubblico e poi dedica un minuto alle foto mimando posizioni plastiche. Per poi concludere: ‘Bene, ora che le foto le avete fatte, potete mettere via i cellulari e godervi lo spettacolo’. Un pubblico molto vario ma con una notevole presenza di amanti del rap, cosa che mi capita spesso di vedere nei concerti di questo genere (vedi Aloe Blacc e Ben l’Oncle Soul). Del resto sono anche loro figli dei campi di cotone. 

 

 

 

 

Riccardo Grandi

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